Pur comprendendo l’enorme dolore che s’abbatte sulle famiglie dove un giovane muore per incidente (come è accaduto al caporale Matteo Miotto in Afghanistan), per malattia, per suicidio, i credenti nel Dio dell’amore e in Gesù Cristo nonviolento, assassinato dal potere religioso e militare uniti, hanno il dovere di discernere tra le pratiche della dedizione al prossimo e dell’altruismo e quelle della violenza e dell’uso delle armi. Putroppo nei confronti dell’esercito e della professione di soldato la Chiesa cattolica non ha la chiarezza evangelica de “il vostro parlare sia “si, si” o “no,no”, senza ambiguità e compromessi, ed assistiamo continuamente alla benedizione delle “armi buone” che vanno in giro per il mondo a “combattere il terrorismo” ed alla santificazione di ogni militare che, secondo quello che è il più normale rischio di una professione scelta e pagata profumatamente, muore per un colpo di fucile o lo scoppio di una bomba. Ameremmo sentire dai vescovi lo stesso impeto contro i soldati, di quello che essi spargono in continuazione contro chi pratica e organizza l’aborto. Vorremmo che nelle messe, organizzate spettacolarmente ad ogni rientro di una salma dai paesi dove i soldati italiani sono in missioni di guerra (spacciate per missioni di pace), si alzassero voci contro l’uso delle armi sempre e comunque, contro le folli spese militari e quelle per la produzione di armamenti. Basterebbe che il generale in pensione Angelo Bagnasco, ex vescovo castrense ora presidente della Cei, chiedesse a qualche collega i registri con i capitoli di spesa delle forze armate e poi meditasse sulle pagine delle Beatitudini. Forse potrebbe capire che non si può essere seguaci di colui che proclamava “beati i nonviolenti, beati i miti, beati i misericordiosi” e approvare lo sperpero di milioni di euro nel bilancio di uno Stato per le spese militari, cioè per la violenza e la distruzione organizzata. Nell’analisi dei dati relativi alle spese per il mantenimento delle nostre truppe in Afghanistan si scopre che “i soldi spesi sono quasi totalmente impiegati per coprire i costi dello “strumento militare”, lasciando alla cooperazione, quindi all’aiuto vero e proprio del Paese nel quale si interviene, appena il 10% dei fondi stanziati.” (M.Paolicelli, F.Vignagra, Il caro armato, ed.Altraeconomia). Il mestiere di soldato non può essere conciliabile con la sequela di Gesù. Lo affermava chiaramente Tertulliano, ancora nel 211, cioè 1800 anni fa: “Ma come si potrà combattere (bellare), anzi come si potrà fare il soldato (militare) anche in tempo di pace senza portare una spada che invece il Signore ha abolito? Da Giovanni si erano recati senza dubbio dei soldati e avevano ricevuto delle norme di comportamento; anche il centurione aveva certamente creduto, ma in seguito il Signore ha disarmato tutti i soldati, ordinando a Pietro di deporre la sua arma. Da noi cristiani non è permessa nessuna divisa e nessun comportamento che siano destinati ad atti illeciti. (Tertulliano, De Idolatria, 19, 1-3). Un tempo la leva era obbligatoria e si poteva portare a scusante che era difficile far obiettare tutti i cattolici. Ma da alcuni anni l’esercito è formato da professionisti delle armi, fra i quali non ci sono più soldati semplici, si parte dai caporali per andar su di grado e di stipendio, tant’è che il numero dei comandanti supera quello dei comandati. “Nel 2010 si prevede che il bilancio della Difesa lasci sul terreno oltre 20 miliardi di euro. L’Italia è oggi all’ottavo posto al mondo per spese militari e nei prossimi anni acquisterà con i soldi dei contribuenti 131 caccia, per la cifra di 13 miliardi di euro”. (Il caro armato, cit.). Questi sperchi di denaro fanno gridare allo sdegno nei confronti dei bisogni dell’umanità povera. Perché non c’è qualche vescovo che indichi la strada dell’abolizione delle armi come unica per potersi proclamare seguaci dei valori evangelici? E l’incompatibilità tra i gradi dell’esercito e quelli della fedeltà al vangelo di Gesù Cristo?
Lucio Eicher Clere
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