venerdì 8 aprile 2016

In provincia di Belluno quattro vescovi non ne valgono uno


La provincia di Belluno annovera nelle sue vallate, dal Cadore al Feltrino, ben cinque diocesi e quattro vescovi. Uno per Belluno e Feltre, uno per le propaggini vittoriesi della sinistra Piave, l’altro per quelle padovane nel basso Feltrino, il quarto per l’udinese Sappada.
Retaggi del Medioevo ecclesiastico, quando i patriarchi e gli arcivescovi andavano personalmente alla guida di schiere armate per conquistare terre da annettere alle loro proprietà.
Una razionale riaggregazione delle realtà amministrative e sociali con le appartenenze diocesane non è mai stata attuata nei decenni del dopo Concilio Vaticano II, anche se consigliata dalle disposizioni del Vaticano e della Cei per l’Italia.
Ci provò il vescovo Maffeo Ducoli ad abolire la doppia sede episcopale di Belluno e Feltre, subendo critiche e offese dagli irriducibili feltrini affezionati al simbolo della loro diversità rispetto a Belluno, che proprio l’essere sede episcopale faceva risaltare. Per far ritirare le diocesi di Padova e Vittorio Veneto nei loro confini provinciali non ci provò più nessuno. Ora a guidare la diocesi di Belluno-Feltre è stato nominato un sacerdote di Padova, Renato Marangoni. Una mossa per riportare in diocesi di Belluno-Feltre le quindici parrocchie del basso Feltrino?
Mi auguro che siano altre le prospettive di questo nuovo vescovo, che succede a Giuseppe Andrich.
Gli anni di questo dirigente gerarchico in diocesi di Belluno-Feltre non lasciano alcun particolare ricordo. Per questo Marangoni non potrà che fare meglio.
I cattolici bellunesi se la sono scampata bella dall’avere un altro vescovo “locale”. Infatti il clero bellunese-feltrino è così demotivato e rassegnato al declino della vita religiosa, che un secondo vescovo “per qui da noi” avrebbe spento definitivamente ogni possibilità di ripresa d’entusiasmo in quella residua comunità ecclesiale che frequenta le parrocchie e aderisce ai vari movimenti che hanno tentato nei decenni post conciliari di rinnovare la prassi religiosa e la pastorale cattolica.
 Ma non c’è stata solo la conduzione “sanza infamia e sanza lodo” del vescovo Andrich a rendere sempre più povera la religiosità in provincia di Belluno. Neppure gli altri tre vescovi hanno dato segni di novità e di carica pastorale nuova.
A Sappada la parrocchia sopravvive nel più stanco tradizionalismo. L’unico segno della presenza del vescovo Andrea Bruno Mazzoccato è stata la rimozione del prete imprenditore don Luigi Fabbro, finito in guai giudiziari dopo il fallimento delle società degli impianti di risalita.
Del vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, abbiamo apprezzato una presa di posizione contro le messe militarizzate e la loro blasfema “preghiera dell’alpino”, ma non ricordiamo particolari iniziative profetiche nel territorio di sinistra Piave.
E così il vescovo di Padova, Claudio Cipolla, non ha dato finora segnali di grandi cambiamenti nella zone delle parrocchie dei vicariati di Arsié e Quero.
Per dare una scossa ad una comunità ecclesiale vecchia e impoverita di presenze giovani, che riportino l’entusiasmo che aveva caratterizzato gli anni del dopo-concilio, ci vorrebbero segni e parole credibili nella coerenza con i gesti. La prassi messa in atto da Papa Francesco dovrebbe stimolare i vescovi a seguirne le orme. Per questo ci auguriamo che Renato Marangoni non segua il “quieto vivere” del suo predecessore, ma abbia la capacità di capire la bassezza della qualità ecclesiale bellunese-feltrina e di dare egli per primo segnali di inversione di comportamenti pastorali.
Ci permettiamo di suggerirne uno, che dovrebbe mettere in pratica un invito del papa. Nella provincia delle cinque diocesi e dei quattro vescovi non ce n’è stato uno che abbia messo in pratica l’invito di aprire in ogni parrocchia delle case per ospitare i profughi in fuga dalla guerra e dalla fame. Eppure le cinque diocesi della provincia di Belluno sono piene di canoniche vuote, e anche quelle che hanno un parroco stabile sono grandi edifici per single, al massimo con perpetua a servizio. In un contesto veneto, dove la mentalità ristretta e ostile verso lo straniero si ammanta di valori pseudo tradizionali e religiosi, dove il leghismo zaista impedisce la libera espressione di culto vietando le moschee, una organizzazione parrocchiale che si muovesse in modo programmato per accogliere in ogni paese una o più famiglie di profughi sarebbe il segnale più autentico di una fede che si incarna nell’amore del prossimo.
Il nuovo vescovo Marangoni dovrebbe assumere questo come primo impegno, come ha fatto papa Francesco, recandosi a Lampedusa e poi a Lesbo, per dire che ai confini della civiltà, dove l’umanità povera chiede a quella ricca di condividere almeno le briciole della mensa, come Lazzaro nella parabola di Gesù, c’è la Chiesa che segue i dettami del suo fondatore.
Il vescovo Marangoni dovrebbe prendere su di sé la mansione di direttore della Charitas. Far capire ai suoi preti che non si può delegare ad un centro diocesano, come un patronato od un ufficio burocratico, la prima prassi evangelica della comunità cristiana. La Charitas è un impegno di tutti i cristiani, non di un gruppetto di volontari.
Abbiamo letto che il nuovo vescovo di Belluno-Feltre non abiterà nel palazzo vescovile, ma in seminario.
Un gesto di poco valore, teso a relazionarsi con una ristretta cerchia di vecchio clero.
Il luogo profetico dove Renato Marangoni dovrebbe risiedere sono le stanze che ora ospitano gli uffici della Charitas, in quel “centro per Ferie” di piazza Piloni, che la diocesi di Belluno ha trasformato da casa di esercizi spirituali in locali di redditizio affitto per le casse del Fondo per il sostentamento del clero.
Quando era giunto il tempo delle dimissioni di Giuseppe Andrich avevamo scritto una lettera-appello a papa Francesco perché nominasse Don Pierluigi Di Piazza, il parroco di Zugliano di Udine, fondatore e guida del Centro Balducci, che da oltre 30 anni ospita profughi e richiama alla fedeltà al messaggio d’amore del vangelo. La sua sarebbe stata una presenza profetica che avrebbe risvegliato il cristianesimo morente della Chiesa bellunese. Se Renato Marangoni volesse imparare prenda esempio e contatti don Pierluigi.

Lucio Eicher Clere