Sempre di più le parole della fede hanno bisogno di comportamenti coerenti per essere comprese e soprattutto divenire credibili. Quanto vuote sono la gran parte delle “prediche”, delle conferenze, delle esortazioni , del fluire continuo dalle bocche di professionisti della religione, se non trovano riscontro nell’agire dei retori vaniloquenti? Il vescovo di Belluno-Feltre, Giuseppe Andrich, nella ricorrenza di San Martino, patrono della diocesi, ha predicato in cattedrale, come fa sempre e nessuno lo ricorda, vista la banalità delle cose che ripete. Non varrebbe certo la pena fermarsi su qualche sua frase, ma poiché “Avvenire”, il quotidiano della Cei, ne ha riportato un paio, in un servizio giornalistico del giorno dopo, queste offrono il pretesto per capire la vacuità del parlare di certi prelati e la contraddizione con i loro comportamenti. Dice Andrich: “La secolarizzazione, anche dentro la vita della Chiesa produce, nei nostri paesi di tradizione cristiana, la crescita di alberi e zone boscose di paganesimo e di idolatria”. Il vescovo di Belluno non si accorge che quella che egli chiama “secolarizzazione”, come processo esterno alla Chiesa, in realtà è lo stile a cui lui per primo si è adeguato nel quieto vivere di Seminario e Curia, nel mantenimento della struttura clericale sempre più obsoleta rispetto alla vita delle persone, nell’ ignorare per comodità la radicalità della sequela di Gesù, tenendo di più ai privilegi e al potere che non alla libera condivisione della precarietà e della povertà. Ma dove il monsignore rivela la sua vacua ipocrisia è in un altro passaggio del citato discorso: “Quando siamo oggetto di forti e rabbiose contestazioni per posizioni che sono secondo ragione, prima di essere conformi alla nostra fede, sentiamo che si verifica quello che Gesù dice “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Tu, Giuseppe Andrich, un perseguitato? Tu, che vivi in una provincia dove l’informazione è quasi totalmente in tuo possesso, attraverso televisione, radio, settimanale più letto, bollettini parrocchiali, e due quotidiani che usano nei tuoi confronti solo la piaggeria e l’incensazione e mai una riga di critica, tu saresti un perseguitato? Forse per capire cosa significa questa parola dovresti chiederlo ai preti che hai emarginato e confinato in mansioni inutili, incurante e insensibile ai loro drammi, dopo averli mandati avanti nei corsi di teologia quand’eri rettore del seminario e raccattavi “oves et boves”, pur di ingrossare numericamente la misera casta del clero bellunese. O forse dovresti chiederlo a quel professore di religione, accusato ingiustamente di furto, anche a causa del tuo complice silenzio, che ha dovuto subire l’umiliazione di tutte le udienze processuali per arrivare ad una sentenza che lo ha assolto “perché il fatto non sussiste”? E le comunità cristiane abbandonate, malservite o rovinate da presenze sacerdotali dannose? Le parole del vescovo Andrich sono vuote e falsificate dai suoi comportamenti.
Parole piene invece sono quelle che possiamo leggere nella “lettera di Natale”, che alcuni preti friulani diffondono pubblicamente, scrivendo di fede, di tematiche sociali, di vita cristiana vissuta in coerenza con il vangelo, che essi testimoniano con le loro scelte comportamentali. Per loro fare il prete non è mettersi i paramenti e celebrare messe e liturgie sempre più vuote di senso, ma tentare di mettere in pratica le parole di Gesù nel modo più fedele possibile. Si coglie la verità quando scrivono: “Gesù ci dice dove Dio si rivela e sta: in mezzo, coinvolto, partecipe, non lontano. E così chiama anche noi a stare in mezzo, schierati con le persone povere e sofferenti, senza nessun segno distintivo, abito particolare, titolo onorifico, ma con l’unico segno della nostra umanità disponibile”. Si sente la tensione verso una Chiesa diversa e fedele al suo fondatore. “L’attenzione di Gesù verso le donne è straordinaria e rivoluzionaria in quel contesto sociale e religioso. Per la Chiesa questi incontri dovrebbero stimolare una autentica valorizzazione della differenza di genere e favorire la presenza delle donne, la possibilità di svolgere diversi ministeri, come avviene nelle Chiese Evangeliche.” Il Gesù che essi raccontano, più che predicare, è quello contro il potere e il denaro, quello che proclama beati i nonviolenti, per cui “la produzione e il commercio delle armi, la giustificazione delle guerre, i cappellani militari, i funerali religiosi di Stato in cui le parole dei celebranti sono scandalosamente simili a quelle dei Ministri della Difesa, lo stanziamento di quasi un miliardo di euro per gli armamenti, le armi atomiche custodite nella base Usaf di Aviano, ci appaiono come ripetute ferite al vangelo della pace”. Per questi ministri della Chiesa cattolica il crocefisso non è un simbolo da esibire come identificazione etnico-culturale. “Tristezza e sdegno ci investono per come viene usato strumentalmente da una religione etnicizzata, per contrastare e attaccare persone diverse per cultura e fede religiosa. Gesù Crocefisso, che ha dato la vita per gli altri, viene volgarmente utilizzato per negare la vita di altri”.
Le parole di questi cristiani, in servizio nelle comunità come preti, riescono a riempire la fede svuotata dai “falsiloqui” di un vescovo.
Lucio Eicher Clere
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