domenica 17 marzo 2013

Se un papa Francesco...



E’ piaciuta a tutti la scelta di Jorge Mario Bergoglio, il nuovo papa, di chiamarsi Francesco, con esplicito riferimento al radicale testimone della fede in Gesù, vissuto ad Assisi per 45 anni tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo. Che per otto secoli, pur essendo stato Francesco uno dei santi più considerati e amati non solo dai cattolici, nessuno ai vertici della Chiesa avesse mai pensato di prenderlo a modello di vita assumendone il nome, è indicativo di quanto contradditorio sia stato l’apprezzamento per il “poverello d’Assisi” da parte di quella gerarchia che non l’aveva tollerato da vivo per la sua intransigenza nell’applicare il vangelo alla lettera e nello snaturarne il messaggio dopo morto, tanto che si può dire che il francescanesimo sta a Francesco come il cristianesimo sta a Gesù.
Se questo pastore che viene dal continente latino americano, dove la realtà sociale fa ancora corrispondere il termine “povertà” al suo vero significato di mancanza di beni e di certezze, si è prefisso di riportare la Chiesa cattolica al messaggio francescano di fedeltà a “madonna povertà”, è possibile dargli credito, anche per i gesti che ha compiuto da vescovo di Buenos Aires.
La votazione di Bergoglio come vescovo di Roma è avvenuta nel periodo quaresimale, in quel tempo in cui si ricorda il simbolico ritiro di Gesù nel deserto. La narrazione evangelica presenta, alla fine della quarantena di digiuno, le tentazioni del diavolo a Gesù. Secondo Matteo, Satana lo sfida con la proposta del cibo facile sia per il corpo che per lo spirito, con il miracolismo, con la ricchezza e il potere. Da Costantino in poi la Chiesa nata dalla fede nel Risorto si è trasformata in una struttura di potere e di ricchezza, di cui il Vaticano e lo Ior sono la dimostrazione più inaccettabile, che nessun riformatore è mai riuscito a modificare e cancellare.
Se un papa eletto durante la quaresima avesse il coraggio di affrontare questa sfida alla tentazione del potere e della ricchezza, ripetendo a se stesso e alla struttura ecclesiastica le parole di Gesù al Tentatore: “Vattene, Satana! Sta scritto “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”, sicuramente il cammino della Chiesa cattolica prenderebbe un’altra direzione rispetto a quella percorsa per diciassette secoli.
Se un papa Francesco avesse la coerenza di ritornare al messaggio del santo di Assisi e di confrontarlo con tutta la grande richiesta di distacco dalla ricchezza e dal potere che ha contraddistinto il periodo storico in cui è vissuto San Francesco, concretizzatosi nel grande movimento pauperistico in Italia e in Europa, potrebbe recuperare il confronto con l’altra parte dell’esperienza cristiana in Europa, che è stato il Protestantesimo. Come non ricordare infatti che, prima di Francesco, un altro ricco mercante, Pietro Valdo di Lione, compì una scelta analoga, spogliandosi delle sue ricchezze e fondando quel movimento, il Valdismo,  che ha testimoniato la fedeltà al Vangelo attraverso i secoli e le persecuzioni e ancora oggi in Italia e nel mondo dà esempio di coerenza e fedeltà ai principi evangelici. Nella professione di fede del 1180, un anno prima della nascita di Francesco d’Assisi, Valdesio diceva: “Abbiamo deciso di essere noi stessi poveri in modo tale da non essere solleciti al domani e non accettare da nessuno né oro, né argento, né altro all’infuori del vestito e del vitto quotidiano. Ci siamo posti come obiettivo di adempiere i consigli evangelici come precetti”.
Se un papa Francesco rinunciasse al titolo di “capo di stato”, proseguendo con i fatti le parole della prima sera, dove non ha mai pronunciato i termini “papa o pontefice”, ma soltanto “vescovo di Roma”, smantellando l’organizzazione burocratica e diplomatica dello Stato del Vaticano, per dedicarsi totalmente all’annuncio evangelico dell’amore di Dio, collaborando con le Chiese sorelle sparse per la Terra e diventando, come vescovo di Roma, soltanto il presidente della comunione tra tutte le altre, potrebbe aprirsi una nuova stagione per il cristianesimo stanco e svuotato dai giochi di potere della sua gerarchia senza fede.
Se un papa Francesco fosse imitato anche dai vescovi delle diocesi, in particolare quelle italiane, dove valgono ancora titoli ed onori anacronistici e antievangelici, in questi tempi di crisi e povertà, la fede cristiana potrebbe rivitalizzarsi.
Lucio Eicher Clere