giovedì 10 gennaio 2013

Il cammino verso Santiago


La religione devozionale, spesso mescolata con la superstizione, ha bisogno di appoggi concreti, di miracoli e visioni. I luoghi di raduno delle folle in cerca di conforto o di sorprese legate al soprannaturale non risentono della crisi della fede e della pratica religiosa nella quotidianità di quanti anagraficamente sono segnati nei registri dei battesimi parrocchiali. Sant’Antonio da Padova, come San Pio da Petrelcina, come le varie Madonne viste da pastorelli ignoranti e divenute miracolose, e tanti altri santi e sante le cui reliquie sono sparse in giro per le chiese della cattolicità, resistono all’usura del confronto con la scienza e trovano ancora profeti alla Paolo Brosio ascoltati a reclamizzarli.
Quando i miei familiari mi hanno regalato per i 60 anni un viaggio a Santiago de Compostela, con tanto di cammino a piedi per circa 200 chilometri, mi sono guardato dentro con scetticismo, prima di guardare loro negli occhi per capire se dovevo ringraziarli e accettare o declinare con un garbato rifiuto. Avevo capito l’intenzione che stava sotto questo gesto. A me che sanno essere un lettore costante di testi religiosi, un analista critico delle posizioni del magistero, un sincero ricercatore di un nuova proposta di fede nella vita contemporanea, regalare un pellegrinaggio di antica storia, fatto a piedi come nel medioevo, poteva riservare il fascino del confronto fra teoria e prassi della fede popolare vissuta nei secoli.
Lo scetticismo che contraddistingueva il mio sguardo all’interno era mescolato di paura per dover affrontare una fatica fisica a cui non ero allenato, e anche di dubbio sul valore di un gesto, come quello del pellegrinaggio, che spesso (ne ho fatto alcuni a piedi nei luoghi di culto sparsi per le vallate alpine) raggruppano gitanti dell’occasione, guidati da recitatori di rosari e litanie, che escono quasi sempre in monotonia da bocche scollegate del pensiero.
Ma piano piano ho elaborato un mio significato da attribuire al camminare pellegrino, che dopo qualche giorno ho deciso di accettare come regalo di compleanno. Santiago de Compostela è quanto di più contradditorio possa esserci nella tradizione cristiana d’occidente. Un luogo di culto inventato negli anni del combattimento tra  cristianesimo e islamismo per la “reconquista” della Spagna. Un discepolo di Gesù, che secondo la tradizione avrebbe svolto la prima diffusione del vangelo in Spagna, fatto ricomparire in ossa proprio dalla terra iberica, in Galizia, alla fine del mondo allora conosciuto. Un santo che, alla faccia dell’amore per i nemici che sicuramente avrà predicato e vissuto, viene definito Matamoros, raffigurato su un cavallo con la spada in mano intento ad infilzare saraceni. Un luogo di culto presto diventato meta di pellegrini alla ricerca di una risposta alle loro domande di perdono e di miracolo. Sono stati proprio i pellegrini che camminavano a piedi per i sentieri della Spagna a trasformare Santiago da cavaliere assassino in camminatore e protettore dei  viandanti della fede.
Il cammino delle fede cristiana in Occidente e verso occidente è un percorso millenario che ben può essere simboleggiato nel Cammino di Santiago. Pensavo a questo preparandomi alla fatica (che poi non si è rivelata così insormontabile!), motivando a me stesso la differenza che c’è tra un viaggio di creduloneria ad un santuario mariano o santesco e un percorso penitenziale sulle orme di milioni di persone che hanno calpestato i sentieri che attraversano le pianure e le colline, i villaggi e le città delle regioni spagnole. Passi che si imprimevano sulla terra, polvere dispersa dal vento, sudore asciugato dall’aria, sguardi, incontri, fatiche, sicuramente anche preghiere e speranze di ottenere perdono. Un fiume di vite, impastate di contraddizioni , di peccato e santità, di ipocrisie e autenticità. Un fiume di storia della cristianità, partito puro alla fonte e via via nel suo corso intorbiditosi di fango e di angoli putrefatti, sporcato dal sangue delle torture dell’Inquisizione, degli  ammazzamenti  in nome di Dio, inquinato dalla superstizione spacciata per fedeltà al volere divino, dal potere gerarchico interessato soltanto a perpetuare se stesso, dalle eresie imposte come verità e dalle verità scomunicate come eresie. Ma un fiume che ha dentro di sè la capacità di purificarsi, di tornare acqua limpida, proprio perché lo spirito delle origini ha superato ogni tentativo di distruggerlo. Quello spirito che ha operato nella testimonianza dei veri credenti, sicuramente molti dei quali hanno camminato scalzi e penitenti sui sentieri verso Santiago.
Non so se il mio camminare sia stato dentro a questo corso del fiume della fede, sicuramente lo è stato nel confronto con la variegata umanità che ancora percorre quelle stradine, alla ricerca di un senso alla propria vita, o forse soltanto per un trekking denso di richiami spirituali.
Con il gruppo di persone che avevano scelto di trascorrere il periodo di ferie natalizie in cammino verso Santiago, con l’organizzazione della Compagnia dei Cammini, un giorno ci siamo fermati dentro ad un piccolo eremo romanico, l’unico aperto dei tanti che costellano il percorso. Sapevo che nessuno di loro era partito con motivazioni religiose.  Anzi la gran parte era agnostica, qualcuno ateo. Ma mi sono sentito libero, all’interno di quello spazio dove per secoli ha respirato la religiosità popolare, di raccontare le mie sensazioni di credente critico, che resta dentro la chiesa nonostante i tradimenti che le gerarchie hanno compiuto nei confronti di Gesù Cristo, proprio perché, al di là degli uomini e degli errori, resta la fede camminante, al di là e nonostante noi. Resta, come scrive Turoldo, il fiume della presenza della spiritualità:
“Tu non sei il fiume,
ma ti nascondi dentro al fiume,
non sei la foresta,
ma sei nascosto nella foresta,
non sei il vento,
sei il vento del vento,
e senza non c’è tempo
perciò viviamo
e saremo eterni.” (Da Canti Ultimi)

Lucio Eicher Clere