domenica 26 giugno 2011

Mai più a Medjugorie

Un amico di Udine, originario di Santo Stefano, Franco Baldissarutti, ha voluto accertarsi di persona su cosa ci sia nella devozione mariana di Medjugorie. Ha aderito ad un pellegrinaggio organizzato, partecipando in corriera al viaggio di andata e ritorno e, lì nel paese dei visionari, al fenomeno dell’esaltazione religiosa attorno ad una vicenda a metà fra lo spirituale ed il superstizioso, con annessi guadagni e furberie da mercanti. Franco ha scritto un diario dei giorni di Medjugorie e la lettura di quel testo è un documento che potrebbe far riflettere quelli che conservano qualche dubbio sull’uso strumentale del miracolistico nella religione che si ispira a Gesù di Nazareth. Pubblico volentieri nello “spiritodigioele” alcune sue considerazioni, in risposta alle critiche di un compagno di viaggio, segnalando la mail di Franco per leggere il suo diario intitolato “Primo e, sicuramente, ultimo viaggio a Medjugorie”: info@francobaldissarutti.it

Quello che ho visto, sentito e riscontrato non solo mi ha deluso, ma mi ha a volte
schifato. Ho trovato un mercimonio intollerabile, una bigottaggine puerile,
un business sotto gli occhi di tutti. Della guida vorrei tralasciare ogni
commento perché è un "personaggio" che definire autocelebrante e pieno di sè
è fargli un complimento. Un finto curato d'Ars che brandiva la croce come
una clava per ingolfarci di rosari e litanie e predicozzi puerili.
La veggente un personaggio angosciante, più che spirituale, spiritato.
Lanciava baci, saluti, firmava libri, diari, fogli come una diva di
Hollyvood e ripeteva come un disco rotto senza cambiare né punti né virgole
le sue visioni. Che bisogno c'è di macerarsi anima e corpo recitando
vagonate di ave Maria, litanie e mea culpa salendo percorsi mistici creati
ad hoc per rendere più credibile una fede traballante? Se c'è un Dio lo si
può invocare ovunque, senza bisogno di intermediari e, soprattutto nel
silenzio della propria casa senza queste teatralità pagane, queste
ostentazioni plateali, queste processioni al limite del grottesco.
Anche l'inserimento nelle buste delle suppliche e pensieri alla Madonna e
consegnate (con obolo!)alla veggente perché le porga lei al suo cospetto è
puerile. Perché non parlare noi direttamente con Lei, ovunque ci trovassimo,
senza dover travalicare mari e monti e recitare belanti come pecore orazioni
preconfezionate? Non lo capirò mai. Ma quanto mi appaga il mio sano
agnosticismo!
Ci sono due possibili approcci ad ogni questione, quello fideistico, che
pretende di assumere a verità la propria posizione senza uno straccio di
prova e senza permettere alcuna confutazione e quello logico-razionale,
aperto al dibattito e che si basa sui fatti, sui dati, sui giudizi degli
studiosi più accreditati, sulla storia, ecc.
La fides senza ratio è una fede talebana, fondamentalista, fideismo
pericoloso da combattere al pari del fondamentalismo islamico.
Sulla fede cieca non si puo' discutere!
D'altronde la Chiesa ufficiale, e il vescovo di Mostar lo sottolinea, non dà
veridicità a queste apparizioni. Qualche ragione ci sarà. Eppoi
una Madonna che ringrazia i convenuti! Come se un medico ringraziasse il
paziente che è venuto a farsi visitare. E "Vi benedico con la mia
benedizione"... Forse è il caso di correggerla e dirle di omettere: "con la
mia benedizione" perché pessimo italiano non... da Madonna!
Anche il digiuno a pane ed acqua il mercoledì e venerdì erano imposti da Lei
ma nessuno l'ha rispettato! Come mai?
 Se fossi arrivato con un mezzo mio invece che con il
pullman, me ne sarei ritornato a casa il giorno dopo. E' stata una pena per
me resistere altri quattro giorni. Altri invece già smaniano per ritornarci.
Tanti mi hanno detestato peggio di un appestato (molto cristianamente...)ma
del loro giudizio non me ne importa un fico secco, anzi mi inorgoglisce
ancor di più. Fine del pellegrinaggio. Curiosità appagata. A mai più.

Franco Baldissarutti

sabato 4 giugno 2011

“Fuori dal tempio”, per confermarsi nella fede



Don Pierluigi Di Piazza,  sacerdote della comunità parrocchiale di Zugliano, in periferia di Udine,  ma soprattutto uomo e cristiano che testimonia la coerenza tra fede in Gesù di Nazareth e i comportamenti individuali e comunitari, ha pubblicato un libro, per le edizioni Laterza, intitolato “Fuori dal tempio, la Chiesa al servizio dell’umanità”. Vi ha raccolto le riflessioni di un credente, formatosi spiritualmente e umanamente negli anni del dopo Concilio Vaticano II, investito di responsabilità, forse profeticamente, da un altro sacerdote originario della Carnia, don Toni Bellina, già all’inizio della sua scelta di mettersi a servizio della comunità come prete. Infatti don Bellina, “mahatma”, grande anima della friulanità che forse non esiste più, traduttore della Bibbia in friulano, prete controcorrente, aveva individuato in Pierluigi Di Piazza un interlocutore a cui suggerire la strada da percorrere come sacerdote fedele al vangelo. Innanzitutto gli spiegava che ce ne sono due comode: “non mettersi contro nessuno, fare funzioni religiose, dottrina…lasciare che la povera gente vada per la sua strada, poi ti chiameranno per il funerale. L’altra è quella di fregarsene della gente e mettersi dalla parte dei potenti: avrai soldi amici, ti faranno monsignore…avrai il potere di trovarti molto bene in questo mondo”. Ma don Bellina gli diceva qual è la strada consigliata: “Quella della verità, presentandoti come sei, devi dare una mano al popolo a liberarsi da tutte le catene che lo tengono prigioniero. Devi farlo crescere nella libertà, camminando davanti a lui verso la terra promessa. Se scegli questa strada ti troverai contro il vescovo, i preti, i politici, i padroni, i bigotti, forse anche i tuoi amici”. Don Pierluigi ha sicuramente seguito la terza via suggerita dal suo conterraneo, morto da alcuni anni a Basagliapenta.
Non è un prete barricadero, anche se è presente alle manifestazioni in difesa della dignità umana in tante piazze del Friuli e in altre località italiane, dove grida dai microfoni la critica contro il potere leghista-berlusconiano, che ha diffuso nella società del Nordest l’orgoglio del benessere come ideale, la diffidenza verso l’altro, l’oblio delle condizioni di povertà e insicurezza che hanno segnato generazioni di friulani e veneti, la dipendenza dall’effimero televisivo che ha invaso la quotidianità.
Non è un prete antiistituzionale, giacché ha svolto e svolge il suo incarico di responsabile parrocchiale, incardinato nella diocesi di Udine, senza trascurare nessuna delle mansioni che si è impegnato col suo vescovo a portare avanti a servizio della comunità: da quella richieste dalla routine di impiegato del sacro, battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, funerali, alla animazione della vita parrocchiale con gruppi, catechismo, incontri formativi.
Nessuno lo rimprovera di trascuratezza, altrimenti tra il beghinismo conservatore e il conformismo cattolico benpensante ci sarebbe stata la processione per andare dal vescovo a chiedere la sua rimozione per inadempienza ai doveri ecclesiastici.
Non risulta che abbia avuto qualche tresca nascosta di tipo omo o eterosessuale, benchè egli riveli nei suoi scritti e nelle sue testimonianze la difficoltà a vivere la scelta celibataria, perché l’affettività e la sessualità sono un dono dell’amore di Dio agli uomini e rinunciarvi per imposizione è un’oppressione antiumana.
Non è un superbo o vanaglorioso, anzi la sua timidezza e la sua disponibilità all’ascolto di chi è più preparato ed esperto, caratterizzano la sua persona di fragilità e di ricerca.
Proprio per la “normalità” di prete, don Pierluigi ha l’autorevolezza e il carisma per raccontare ai tanti che lo conoscono e lo stimano, che si può e si deve vivere la vita cristiana “fuori dal tempio”. Gli spazi che egli ha contaminato nell’area di Zugliano, dove generazioni di cristiani hanno vissuto a loro modo e nel loro tempo la fede in Gesù, ha unito chiesa e campanile con case di accoglienza e di servizio ai bisogni dell’umanità povera e senza futuro, liturgia cattolica con preghiera islamica e buddista, incontri di culture e idealità diverse, senza la presunzione di possedere la verità.
Nel suo libro don Pierluigi racconta queste esperienze e riesce a far capire anche a quanti non avessero avuto modo di passare qualche ora nel Centro Balducci, che qui la Chiesa è incarnata dentro alla vita degli uomini, come dovrebbe essere una comunità che si richiama a Gesù di Nazareth. Per chi ritiene che la religione sia un fatto privato o una ritualità da compiere dentro alle mura dei templi, una messa, come quella che ho avuto la felicità spirituale di vivere il giorno di Pentecoste dello scorso anno nella sala del Centro Balducci, sarebbe giudicata irriverente. Infatti si è passati dalle testimonianze di malati di mente e operatori ( per me vero offertorio di esistenze impastate di dolore e fatica) alle parole della memoria della cena: “prese il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse… prese il calice del vino e disse…”. Ho fatto la comunione quel giorno perché mi sono sentito in comunione con la Chiesa che cammina nella storia dell’umanità e che si lascia guidare dallo Spirito più che dalle convenienze, dalle esigenze strutturali, dall’ubbidienza al potere gerarchico.
Lucio Eicher Clere