domenica 20 marzo 2011

Togliere i crocefissi dalle aule per rispetto dei credenti in Gesù

La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha annullato una sentenza precedente, che stabiliva di rimuovere i crocefissi dalle aule scolastiche per rispetto degli alunni non cristiani e della distinzione tra Stato e religione, riconoscendo allo Stato italiano la facoltà di imporre per legge l’esposizione nelle aule scolastiche ed in altri luoghi pubblici dell’immagine della croce e dell’uomo Gesù. Questo simbolo, secondo la Corte europea è “irrilevante, non esercita nessun influsso sugli studenti”. Per i politici opportunisti che hanno gridato vittoria per questa sentenza, così come per i cosiddetti “atei devoti” che si interessano di religione soltanto per formalismo esteriore, questa motivazione è la conferma di un uso strumentale del simbolo della religione cristiana, utilizzata come elemento aggregativo di una tradizione europea conservatrice, e collante di pseudo valori morali ipocriti, proclamati per il perbenismo sociale e trascurati poi nella pratica dei singoli e delle famiglie. Ma per cosa possa esprimere soddisfazione il presidente della Cei, il generale di corpo d’armata in pensione Angelo Bagnasco, che ha parlato di “una sentenza importante, di grande buon senso”, non ci è dato capire. Infatti che una Corte pilatesca affermi che ogni Stato al proprio interno può comportarsi come meglio crede in tema di esibizione dei simboli religiosi, anche contro il diritto di minoranze di altre fedi che potrebbero non gradirli negli spazi pubblici laici, fa parte dell’ipocrisia del potere. Ma che la dirigenza cattolica gioisca nel sentir definire il crocefisso un simbolo indifferente è paradossale. In verità, per chi lavora nelle scuole, la constatazione che i crocefissi nelle aule siano dei simboli ignorati e non calcolati probabilmente neppure dagli insegnanti di religione, è un dato di fatto. Così come lo è, proprio negli anni delle scuole superiori post-cresima, il definitivo abbandono della pratica religiosa negli adolescenti. E’ mia abitudine da oltre 30 anni, cioè dal tempo in cui lavoro a contatto con studenti di una scuola superiore, chiedere ad ognuno se abbia fatto la cresima e se continui a frequentare la chiesa. Tutti mi rispondono che l’hanno fatta, e quasi tutti che, per loro fortuna, si sono liberati dall’obbligo di frequentare il catechismo in vista di questo, che definisco “appuntamento iniziatico alla vita scristianizzata”: il sacramento della de-confermazione. In un unico caso mi è capitato di vedere un ragazzo interessato al crocefisso di un aula. Ma a modo suo, in una forma che sarebbe stata perseguibile come oltraggio ad un simbolo della religione cattolica. Infatti questo ragazzo friulano, in preda ad una crisi emotiva, si rivolse bestemmiando verso il crocefisso, lo staccò dalla parete, ci sputò sopra e voleva spezzarlo. Anziché punirlo per il gesto, cercai di capirne le motivazioni e collegarle anche al ricordo di un messaggio religioso, dove Gesù non era la causa delle disgrazie o delle sofferenze che il ragazzo stava provando, anzi semmai il simbolo delle vittime della violenza e dell’odio.
Il crocefisso per i credenti in Gesù non può essere un’immagine indifferente. Per questo esporlo nelle aule scolastiche, nei tribunali, in altri luoghi pubblici è offensivo nei confronti della fede cristiana.
Finita l’era della civiltà contadina, dove i crocefissi erano punti di riferimento di una vita quotidiana contrassegnata dalla religione, ci eravamo abituati ad un ritiro in disparte, un ritorno nei luoghi della comunità dei credenti, dove il crocefisso parla ancora un linguaggio riconoscibile. Ma i calcoli utilitaristici di qualche politicante, in giacca e cravatta o veste talare, vuole esibirli dovunque, con la stessa irriverenza che si nota in una croce d’oro sul petto di un mafioso o di una donna che vende il suo corpo. I crocefissi non possono essere degradati a oggetti simbolici ad uso e consumo di qualche ministro in vena di esibizionismo religioso senza sostanza. Ma dovrebbero essere i vescovi e la Chiesa a ribadire le affermazioni di Paolo nella lettera ai cristiani di Corinto, “Cristo crocefisso, scandalo per i giudei, follia per i gentili”, non permettendo di considerare la croce alla stregua di una qualsiasi insegna della Padania bossiana. Per rispetto dei credenti in Gesù dovrebbe essere tolto il crocefisso dai luoghi dell’indifferenza nei suoi confronti. Sarebbe profetico che a farlo nelle scuole, durante le loro ore di lezione,  fossero gli stessi insegnanti di religione.
Lucio Eicher Clere

domenica 13 marzo 2011

La Chiesa del Nordest fra trionfalismo e indifferenza



Se c’è un territorio dove l’arretramento della pratica religiosa e della tradizione cattolica è più constatabile sia numericamente che qualitativamente, questo è il cosiddetto Nordest, una delle regioni più ricche del mondo. Quel Veneto, quel Friuli, quel Trentino che un tempo erano la culla delle vocazioni sacerdotali, fratesche e suoresche, ed erano la garanzia di totale adesione alle parrocchie, contro le tentazioni del razionalismo e del modernismo (basti pensare da dove proveniva il “campione” della lotta al modernismo, quel Papa Sarto da Riese poi santificato come Pio X), da decenni ormai sono le lande del materialismo e della spregiudicatezza morale, dove ciò che interessa è fare soldi e soddisfare i piaceri della vita. Non per nulla in queste regioni ( a parte l’isola di Trento) stravince quel partito che è la traduzione in politica dell’incultura e dell’egoismo individuale e sociale, cioè la Lega. Una generazione di spregiudicati imprenditori, che sono passati dalla economia rurale e dall’emigrazione all’artigianato e all’industria, non ha esitato nello stravolgere il proprio territorio, costruendo dappertutto case, ville, condomini, fabbriche, capannoni, consegnando alle generazioni future luoghi invivibili, ma non ha rispettato nemmeno alcuna regola morale di quel “catechismo di Pio X”, che doveva essere inculcato nella mente dei bambini perché non lo dimenticassero più fino alla vecchiaia. Il formalismo della religione, quello sì è stato rispettato. Basti pensare che a tutt’oggi, di fronte all’abbandono della pratica religiosa di nove ragazzi su dieci che fanno la cresima, tutti continuano a battezzare i figli, fargli fare la prima comunione, la cresima e, se serve per far bella scenografia, anche il matrimonio in chiesa, in attesa del funerale che sempre è il rito finale di una esistenza sotto la copertura cattolica. Ma quale è poi la pratica cristiana delle generazioni materialiste del Nordest ricco e gaudente? La pastorale dei tanti preti ancora in servizio nelle migliaia di parrocchie, dove si prosegue la routine del ritualismo liturgico e della sacramentalizzazione di massa, ha contribuito in prima battuta a far sì che lo scollamento fra vita e fedeltà al vangelo avvenisse senza traumi. L’aver proseguito a “curare le anime” come se nella società non fosse avvenuto alcun cambiamento rispetto a quando la quotidianità era scandita dalle campane e lo scorrere dei mesi dalle festività ricorrenti, ha relegato i preti nel ruolo di impiegati della religione, di organizzatori del tempo libero dei bambini e di consolatori di qualche dramma familiare o della solitudine degli anziani. La profezia che la figura di Gesù rivela in ogni parola e gesto della sua vita è totalemente assente in queste comunità cattoliche del Nordest.
Adesso le diocesi si propongono di fare una riflessione per confrontarsi pubblicamente in un grande convegno, da tenersi il prossimo anno ad Aquileia. E per “lanciare” mediaticamente questo evento hanno invitato il papa Benedetto XVI in una visita ufficiale tra Aquileia e Venezia. Anziché venire in sordina e incontrare i vescovi e quanti partecipano alla fase preparatoria del convegno, papa Ratzinger viene a Nordest nel fragore e nel trionfalismo che contraddistinguono le uscite dei papi, così come le ha rese famose papa Wojtyla. Grandi raduni, messe con folle oceaniche, costi di organizzazione enormi, che hanno richiesto la devoluzione delle offerte di tutte le parrocchie del Nordest in una domenica di febbraio, per dimostrare che la Chiesa cattolica c’è, conta e vuole rilanciarsi. Li abbiamo già visti questi grandi eventi, con convocazioni e pellegrinaggi. Basti pensare al giubileo, ai sinodi diocesani, ai raduni nazionali e mondiali dei giovani. Tutte sceneggiate senza alcun ritorno pratico nella vita delle comunità ecclesiali. Infatti dopo i giubilei, i sinodi, i raduni, tutto continua nell’indifferenza della stragrande maggioranza dei cattolici anagrafici e nella crisi di identità di una casta sacerdotale che non è capace di diventare corresponsabile assieme ai laici del ripensamento e della rinascita della fede, in coerenza con il messaggio evangelico. Nessuno all’interno della Chiesa può dire di avere in tasca le ricette del rinnovamento, poiché lo Spirito soffia dove vuole, ma se la gerarchia avesse almeno l’umiltà e il coraggio di ammettere il fallimento dei propri metodi pastorali rispetto alla vita di fede delle comunità, forse si potrebbero trovare ad Aquilei altre domande ed altri tentativi di risposta, che non siano quelle già sentite dieci anni fa con il giubileo o negli anni passati con i sinodi diocesani. Invece basta leggere lo stile “vescovese” del programma per rimanere delusi e prevedere che non ci sarà alcun cambiamento nella Chiesa del Nordest: “le diocesi individueranno le scelte pastorali necessarie per rispondere alle sfide rilevate, alle esigenze emergenti, al nuovo a cui aprirsi, ai fronti pastorali su cui avanzare insieme”. Parole vuote, a cui non seguiranno comportamenti diversi, che testimonino la ripresa di coerenza con la radicalità del Vangelo. La gerarchia continua a credere che il trionfalismo delle messe papali porti qualche frutto. Ma invece continuerà l’indifferenza a Nordest, come in tutto l’Occidente che adora Mammona.
Lucio Eicher Clere