domenica 29 luglio 2012

Un prete preconciliare a dirigere il seminario



A 50 anni dal Concilio Vaticano II, che tante speranze aveva fatto nascere per il cambiamento della Chiesa cattolica, il vescovo di Bellunoi-Feltre, Giuseppe Andrich, non trova di meglio, per iniziare le commemorazioni, che nominare alla direzione del seminario diocesano un sacerdote antiquato e preconciliare, tale Attilio Zanderigo Iona.
E’ probabile che nessuno trasalga né di emozione né di sdegno alla notizia. Anzi i più si chiederanno: ma esiste ancora un seminario a Belluno? Ed è giusto chiederselo, visto che da una ventina d’anni i preti sfornati da quella fabbrica sono talmente pochi, che tanto varrebbe mandarli a studiare e prepararsi altrove. Uso a proposito la parola “fabbrica”,  perché ogni volta che mi capita di parlare di “seminario”, non posso non fare riferimento a quello splendido libro che è “La fabriche dai predis”, di don Antonio Bellina, profeta della Chiesa incarnata nella cultura e lingua friulana, traduttore della Bibbia in friulano, testimone di coerenza tra fedeltà al vangelo della noviolenza e dell’antipotere e autentica umanità. In questo percorso, dagli anni della “nascita della vocazione”, agli anni dell’intruppamento nel seminario minore di Castellerio, alla formazione-deformazione ideologica nel seminario maggiore di viale Ungheria a Udine, pre Toni mette a nudo con puntigliosità mista a sarcasmo le storture di un sistema che in pochi anni è arrivato al totale fallimento. Infatti il seminario di Udine non esiste più da anni, al suo posto la sede dell’Università. “Che la fabbrica dei preti sia fallimentare - scrive don Bellina-  almeno dal punto di vista numerico, credo che nessuno possa metterlo in dubbio. Noi siamo entrati in 75 e siamo usciti in 11. Nelle classi dopo di noi, che avevano iniziato addirittura in quinta elementare, con115 ingressi sono arrivati alla fine meno di 10 e quindi anche la percentuale del 10% è da considerare un lusso”. E qui cita un dialogo tra il parroco di Cedarchis, paese della Carnia, pre Antoni Garlat e il vescovo Alfredo Battisti. “Signor vescovo –dice il parroco- si immagina una fabbrica come la Fiat che, su cento macchine prodotte, 90 sono scartate e solo 10 messe su strada? Chi si prenderebbe la responsabilità di tenere aperta e mantenere una fabbrica del genere?”. La risposta di don Bellina, che attraversa tutto il libro, è chiara e stroncante. “Finché la Chiesa si ostina a ordinare solo preti tridentini –scrive- che passano per la fabbrica del seminario e non per la strada naturale della vita di paese e di famiglia, ci si deve rassegnare a questa situazione di miseria nera, anzi di agonia. Se per la Chiesa i preti sono indispensabili e non si decide ad aprirsi ad altre prospettive, morendo il seminario muore anche lei. Per colpa sua”.
In diocesi di Belluno-Feltre, che per molti anni ha avuto come rettore del seminario l’attuale vescovo Andrich, la formazione dei preti in seminario è sempre andata avanti senza queste domande sostanziali, tant’è che la situazione sia clericale, sia ecclesiale è sotto gli occhi di tutti: un gerontocomio in veste talare e qualche pretino senza carisma e personalità sparso in giro per i paesi e fare l’impiegato della religione, cercando di giustificare alla propria coscienza e alla Curia il valore dello stipendio ricevuto a fine mese. Che l’attuale vescovo sia per gran parte responsabile della situazione fallimentare della Chiesa cattolica in diocesi di Belluno è storicamente dimostrabile. E’ stato lui, dopo l’uscita dal seminario del rettore Ottorino Pierobon, a intraprendere il cammino in retromarcia rispetto alle riforme conciliari. Le poche decine di preti usciti sotto la sua direzione sono state fornate e mandate nelle parrocchie con il compito preciso di non smuovere troppo le acque, di lasciare il quieto vivere dell’antica tradizione preconciliare, limitandosi a curare la liturgia, materia in cui si era specializzato a Roma, ma non facendo nulla che potesse cambiare lo status quo. Nessun coinvolgimento del laicato, nessuna apertura alle novità teologiche, nessun dibattito sui principi etici in dialogo con la scienza e i cambiamenti della società. I risultati dell’andrichismo sono talmente sconfortanti, che sono gli stessi preti più intelligenti e sensibili a chiedersi dove porterà la deriva e il declino della diocesi di Belluno. Una casta clericale scadente e rassegnata, da cui se ne vanno i migliori (basti pensare a don Giulio Antoniol), non è riuscita a tirar fuori dal mazzo, peraltro numeroso in rapporto alla popolazione della diocesi, uno che sia uno sacerdote aperto e critico, contestatore dell’apparato, inserito nel dibattito teologico ed ecclesiale che pure è andato avanti in questi decenni, nonostante il conservatorismo che da Roma si è espanso in ogni angolo.
Ora, anziché chiudere il seminario, luogo di inutile rifugio di una decina di preti pantofolari, ombre che vagano dalle camere ai chiostri, e di qualche unità di seminaristi, residuati del Concilio di Trento, il vescovo Andrich pensa bene di metterci alla direzione un prete che è impostato ideologicamente sull’antimodernità, dal vestire in talare al riproporre contenuti preconciliari, che sono stati la sua certezza nel condurre intere parrocchie al disinteresse e all’abbandono della pratica religiosa. Viene il dubbio che a questa gente del futuro del cristianesimo non gliene importi nulla. Che a loro interessi soltanto la conservazione della casta clericale. Perché non trasformare allora il seminario di Belluno in una casa di riposo per preti?
Lucio Eicher Clere