Le reazioni del Vaticano, ma anche di tanti episcopati periferici, all’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Robert Edwars, lo scienziato che ha sperimentato e applicato alla fecondazione in vitro, consentendo a milioni di coppie non fertili di poter avere bambini, sono l’ennesima prova della poca serenità con cui i prelati si accostano alle tematiche riguardanti la sessualità e la procreazione. La sempre eccessiva attenzione riservata alla sfera del sesso da parte della gerarchia cattolica è figlia dei quasi due millenni di condanna della sessualità come peccato o, al massimo, tollerabile pratica per la procreazione dentro al matrimonio sacramentale. Gli oltre cent’anni di studi psicoanalitici e di liberazione culturale dalla sessuofobia non sembrano aver influito sulla ideologia del magistero cattolico, nonostante gli studi teologici di morale abbiano assunto linguaggi e teorie opposte rispetto a quello che, fino a qualche decennio fa, veniva insegnato nei seminari e nelle facoltà teologiche romane. A sentirli parlare e intervenire sulle tematiche in qualsiasi modo legate alla sessualità, dai preservativi alle cellule staminali, sembra che i vescovi siano affetti da una mania sessuale insuperabile. Eppure questi dovrebbero essere i maestri della scelta profetica di “diventare eunuchi per il Regno dei cieli”, cioè quella proposta radicale di Gesù fatta a chiarimento di una questione espostagli sul tema del ripudio della donna adultera, consentito nella legge mosaica (Mt. 19, 3-12).
Chi legge il vangelo si rende conto di quanto poco Gesù abbia parlato di sessualità. Le volte che lo fa sembra accennarne con distacco, quasi per far capire che non è un argomento su cui centrare l’attenzione della coerenza nella sua sequela. Se poi qualcuno si aspettasse dei giudizi di condanna, come quelli che la Chiesa cattolica ed anche molte protestanti hanno espresso per secoli nei confronti dei peccatori di sesso, troverebbe invece espressioni di misericordia, di rispetto, di valorizzazione dell’atteggiamento di amore che caratterizza anche pratiche socialmente condannate, come la prostituzione. Sono parole sue “le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli”, e non è un paradosso ma affermazione coerente con molte altre pronunciate nella predicazione terrena di Gesù. E tra i suoi “guai a voi” invano si cercherebbe la condanna degli omosessuali e dei transessuali. Sono altri i comportamenti contro i quali Gesù prende posizione: la ricchezza, l’ipocrisia, il fanatismo leguleio, la violenza, l’attaccamento ai beni di questo mondo. Tutti atteggiamenti che la Chiesa non solo ha omesso di condannare, ma ha sottaciuto e spesso praticato essa stessa. Proviamo a immaginare le società in cui il cristianesimo ha impresso il suo insegnamento per secoli, se le gerarchie, anziché predicare contro il sesso e le donne, avessero praticato e insegnato la non violenza, la povertà e la comunione dei beni, il pensiero e la parola libera, come aveva insegnato Gesù. Forse non ci sarebbero stati i fiumi di sangue fratricida nel continente europeo per due millenni; forse il colonialismo e l’accumulo del capitale non sarebbero la piaga che devasta oggi il genere umano, con metà popolazione che sperpera e l’altra che muore di fame. I vescovi sui temi centrali del messaggio di Gesù hanno taciuto o parlato sottovoce, praticando il contrario. Sul sesso invece hanno sproloquiato e condizionato coscienze per secula seculorum. Non sarebbe opportuno che per qualche decina d’anni almeno tacessero e si astenessero da esprimere pareri in qualsiasi campo che sfiori la sessualità? Potrebbero semplicemente ammettere la loro non competenza: “Non parliamo di sesso, noi abbiamo scelto di essere eunuchi per il Regno dei cieli”. E semmai ci fosse bisogno di dare qualche indicazione nella sfera della morale sessuale, lo lascino fare ai cristiani laici, che vivono con gioia lo splendido dono del creatore alle creature animate, l’istinto del sesso e la sua umana razionalità nel disegno del Dio Amore.
Lucio Eicher Clere
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