martedì 28 settembre 2010

I diaconi ridotti a chierichetti tardoni

Mi è capitato recentemente di partecipare ad una cerimonia liturgica, di quelle solenni dove l’apparato clericale fa sfoggio di una ritualità teatrale, ancorchè incomprensibile ai più. Vescovi e monsignori, con tanto di segretari aiutanti per  mettere e togliere dalle auguste teste  la mitria, per sistemare la papalina rossa, dargli in mano e levare il pastorale, un cerimoniere per dirigere il traffico di concelebranti tra l’altare e l’ambone, e poi due attempati chierichetti, vestiti da prete, con camice e pianeta dorata, che si trastullavano con turibolo e incenso, saltellando intorno ai celebranti per sostenere la patena ed il calice, andando incontro alla folla dei fedeli con la pisside in mano per porgere loro la particola della comunione.
Ah i diaconi, che utili servi del clero! Nella diocesi di Belluno Feltre quella dei diaconi-maggiordomi è stata una scoperta del ventennio ducoliano. Uomini di una certa età, possibilmente sposati e non alla ricerca di avventure, che facessero un percorso di apprendimento di alcune tecniche cerimoniali e si rendessero disponibili a fare i preti supplenti per alcune funzioni di secondo livello. Eccoli quindi guidare la macchina del vescovo, leggere e cantare il vangelo nelle messe solenni, fare i tappabuchi degli uffici della Curia, e altre mansioni che possano dare soddisfazione al loro desiderio di onorificenza ecclesiastica. In quegli anni era stata fatta una specie di scuola di diaconato e tra i primi partecipanti c’era anche un maresciallo degli alpini in procinto di andare in pensione. Mi è accaduto di essergli vicino mentre esprimeva ad un compagno di corso queste espressioni: “Ti pensi, amico mio, quando saremo consacrati diaconi, che saliremo per la navata con il camice e la dalmatica per celebrare sull’altare con i sacerdoti!”
Invece che riscoprire la diaconia, cioè lo spirito di servizio, che dovrebbe essere lo stile di ogni cristiano che si pone alla sequela di Gesù, la Chiesa cattolica ha incentivato lo spirito di carriera ed il desiderio di mettersi le stellette di alcuni laici frustrati per non aver potuto fare i preti secondo il percorso stabilito. Anziché
declericalizzare la comunità cristiana, in questi tempi di scarsità di preti voluti dallo Spirito, per far crescere un laicato adulto e responsabile, si è scelta la scappatoia dei mezzi preti per ridurre a folclore quel primo servizio organizzato di condivisione materiale della comunità cristiana delle origini.
Lucio Eicher Clere (Lo spirito di Gioele)

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