domenica 1 maggio 2011

La macabra reliquia del sangue di Karol Wojtyla



Ricordo un pomeriggio di luglio del 1987 nel mio paese, piccolo e adagiato in pendio tra prati e boschi. Ricordo l’emozione di un incontro, tra la gente incredula, con un uomo, papa di Roma, che faceva il semplice camminatore. Ricordo come la preghiera con lui in chiesa, il canto, furono momenti di fede entusiasta, quasi che la figura di questo papa, così diverso dai suoi predecessori chiusi nelle mura del Vaticano, fosse stata l’indicazione o la materializzazione di una presenza della divinità nella vita quotidiana. La normalità divenuta eccezionalità e toccata con mano.
Cerco di confrontare l’eccitazione spirituale di quel giorno con la depressione che provo di fronte allo spettacolo della beatificazione di Karol Wojtyla in piazza San Pietro a Roma. Non che questa scena sia aliena dal metodo impresso da Giovanni Paolo II. Anzi ne è pienamente in coerenza. Questa spettacolarizzazione del potere ecclesiastico che tende a celebrare se stesso è nel medesimo filone della super esposizione mediatica voluta da Wojtyla. Il papa dei grandi viaggi, sempre immerso in folle varipinte; il papa dei mega raduni giovanili; il papa della proclamazione di oltre 2000 tra santi e beati; il papa che ha esposto la Chiesa cattolica come centro di potere morale, a cui gli altri poteri visivamante si sono genuflessi. Ma l’illusione mia e di tanti altri credenti è stata quella di vedere questa fama, questa mediaticità, tradursi in testimonianza semplice e vissuta nella vita delle persone. Come la camminata di Karol quel giorno a Costalta. Avevo sperato che da un papa-attore, uomo di mediaticità planetaria, l’evento del giubileo del 2000, cioè un appuntamento che tradizionalmente la Chiesa cattolica celebrava con grandi pellegrinaggi e afflusso di offerte verso Roma, fosse l’occasione per ripristinare davvero lo spirito del giubileo biblico, cioè la legge di Levitico 25, 8-17, che prevedeva dopo 49 anni il riposo della terra e la restituzione ai proprietari primitivi. Avevo sognato che Wojtyla chiudesse il Vaticano per un anno e si trasferisse nelle zone più povere della terra, per testimoniare di fronte all’occidente ricco ed egoista che si doveva smettere di sfruttare le risorse dei paesi sottosviluppati e che si doveva ridare all’umanità la speranza di una nuova era di giustizia e fraternità. Un gesto profetico che non solo non ci fu, ma anzi lo stesso giubileo fu una vetrina di ipocrisia, con le richieste di perdono per gli errori della Chiesa nella storia e nemmeno un atto di pacificazione interna con le componenti del cattolicesimo critico, né un avvicinamento reale alle chiese evangeliche che hanno caratterizzato con la loro testimonianza (pensiamo ad esempio ai Valdesi) una parte significativa del cristianesimo occidentale.
Con papa Wojtyla si è svilito il significato di santità. E fu proprio lui, con le sue sfornate di santi e beati di ogni categoria e zona del mondo cattolico, a far perdere il valore di eccezionalità alla figura di una persona “elevata agli onori degli altari”. A volte mi chiedo se non avesse proprio la volontà di ridimensionare la santità a “normale” condotta di vita cristiana, abbassando il livello di “alienità” che spesso figure dell’empireo dei santificati, come Antonio da Padova o Rita da Cascia o altri taumaturghi, esprimevano. Ma se anche questo fosse stato il suo intento, di certo non è passato come messaggio dentro alla Chiesa. Anzi si è continuato a tenere viva quella commistione tra fede e superstizione, che da sempre caratterizza il riconoscimento di “virtù eroiche” nel santificando. In particolare quella “necessità” di provare l’avvenuto miracolo per dimostrare l’intervento divino. Se Wojtyla avesse voluto demitizzare la santità, bisogna dire che ne è rimasto invece vittima. “Santo subito”, quel grido elevato nel giorno dei suoi funerali, è il frutto della spettacolarizzazione wojtyliana, più che non della fatica di testimoniare la fedeltà a Gesù Cristo, che nei dententori del potere è difficile da vivere in coerenza. E dopo pochi anni ecco esaudita la folla. Volutamente dimentichi delle parole di Paolo in
I Cor. 1, 22,  Ratzinger e la Curia vaticana hanno cercato e trovato il miracolo e beatificato Karol Wojtyla. Non poteva mancare la mercificazione più macabra del culto dei santi, cioè l'esibizione delle reliquie. Per il papa polacco si è provveduto a conservare due flaconi di sangue, dentro il quale si è iniettato dell’anticoagulante. Chissà che non si ripetano le sceneggiate napolentane per la liquefazione della reliquia di San Gennaro. E magari non succeda che nell’ospedale Gemelli di Roma, dove Wojtyla è stato operato nel 1981 per la pallottola sparata da Ali Agca, non si sia conservato un pezzo di intestino!
Il papa mediatico è rimasto vittima della parte superficiale del suo servizio ai vertici della Chiesa cattolica. Sicuramente di lui, della sua vita di credente autentico, saranno altri gli aspetti da valutare e apprezzare, per chi vorrà farlo e magari seguirne gli esempi. Ma se devo pensare a quale eredità sia rimasta in Italia del ventennio wojtyliano, in una giornata di spettacolo della sua beatificazione in piazza San Pietro a Roma, posso soltanto pensare allo svuotamento dei valori e della coscienza cristiana causata dal sistema della mediaticità imposta dalle televisioni del grande corruttore. Wojtyla e Berlusconi sono stati contemporanei. Molti di quelli che si esaltano per la beatificazione del papa polacco sono gli stessi che votano per il satiro di Arcore. E non è proprio un miracolo a suffragio del beato Karol.
Lucio Eicher Clere

1 commento:

  1. Sono d'accordo, i tempi delle camminate sulle Dolomiti sembrano così lontani...
    Ho saputo che per la prossima visita del papa ad Aquileia si raccolgono offerte in chiesa, ma non si vergognano?
    L'editoriale di un famoso quotidiano americano si chiedeva come possa essere beatificato un papa in tempi di guerra ed infinita miseria...

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