domenica 28 novembre 2010

Dalla parte di don Angelo Crepaz

Un prete della diocesi di Belluno, don Angelo Crepaz, ha patteggiato davanti al giudice per un reato che assicura di non avere commesso. Era accusato di aver sottratto soldi dal conto di un disabile che si era affidato a lui, quand’era parroco in un paese vicino a Longarone, Codissago. Nella vicenda, per caricarla di tinte rosa e di morbosità, ci sarebbe anche una donna, per assecondare la quale don Angelo avrebbe sottratto il denaro.
Non conoscevo don Angelo. Me ne avevano parlato con molta stima e affetto degli amici di Vallada Agordina, dove il prete aveva svolto un incarico pastorale negli anni Novanta, ed era stato molto apprezzato dalla gente, tanto che, quando il vescovo Brollo lo trasferì a Codissago ci fu una mobilitazione di protesta. Lo incontrai un giorno nella canonica di Codissago. Un luogo trascurato, non certo simile agli appartamenti o alle villette nelle quali si rintanano la gran parte dei preti-impiegati del sacro di queste nostre diocesi, ma aperto a chiunque volesse frequentarlo, dov’era visibile la presenza di gruppi di volontariato per attività paesane. Ci presentammo, e don Angelo mi parlò del disagio della attività pastorale, delle difficoltà di svolgere il ministero sacerdotale in comunità dove la fede cristiana è in sempre più evidente arretramento, del suo precario rapporto con i dirigenti diocesani, che avevano relazione diretta con il diacono Zoldan, residente in quel paese, escludendolo il più delle volte anche dalle informazioni concrete tra Curia e parrocchia di Codissago. Non mi diede l’impressione di un prete contestatore, né tantomeno di uno spirito critico nei confronti del conservatorismo ecclesiale. Mi era venuto spontaneo collocare questa figura di prete, nato in una comunità semplice e tradizionale della montagna dolomitica, come uno di quelli che avevano scelto questa professione per un indotto senso di “vocazione”, illusi di esercitare un ruolo sociale e religioso di una qualche importanza, cresciuti in un seminario dove si è cercato di appiattire ogni originalità per “confezionare” preti fuori tempo e fuori luogo. Trovatosi poi nella vita quotidiana di comunità a-religiose, don Angelo aveva cercato di adattarsi al suo ruolo di prete nel modo più vicino alle persone e meno dannoso per non far perdere quel poco di tradizionalismo religioso che ancora rimane nelle famiglie anagraficamente cattoliche. Di sicuro non era un trafficante di denaro o un approfittatore dei deboli. Anzi, i molti che l’hanno conosciuto e stimato sono pronti a giurare che don Angelo non ha commesso quel reato per cui ha patteggiato.
Ho reincontrato questo prete qualche giorno prima dell’udienza in tribunale di Belluno. Era tornato nella sua prima parrocchia, a Vallada, per la festa di San Simon, patrono del paese. Parlando della vicenda spiacevole, che lo aveva portato, suo malgrado, sulle pagine dei giornali locali e nazionali, gli avevo offerto la mia disponibilità di giornalista per dare voce a lui nel raccontare la sua vicenda, così “maltrattata” dal giornale su cui anch’io firmo articoli. Ma egli si è rifiutato irremovibilmente, dicendomi che il vescovo gli aveva creduto e lo stava difendendo e sostenendo anche nelle spese processuali. Da critico del vescovo, quale l’avevo sentito la prima volta a Codissago, era passato a suo fedele servitore, ringraziandolo anche perché gli avrebbe trovato un posto come cappellano dell’ospedale di Belluno. Tutti sanno come quella collocazione sia un ripiego per non eliminare qualche imbarazzante sacerdote, incapace di fare il parroco o magari in crisi esistenziale o di esaurimento depressivo. Conoscendo il cinismo del potere clericale, so bene che non è per amore e vicinanza a don Angelo Crepaz che il vescovo e la Curia di Belluno lo stanno sostenendo e gli pagano le spese processuali, consigliandogli il patteggiamento. Questi forse non si curano nemmeno di sapere cosa sia accaduto e quale sia la verità di don Angelo. A loro importa che della vicenda si parli il meno possibile, che non emergano in cronaca e nei dibattiti sui media le crisi e le difficoltà dei preti, come è accaduto per la scelta del parroco del Duomo di Feltre di convivere con la donna amata e diventare papà.
Sto dalla parte di don Angelo Crepaz e di tutti quei “poveri preti” emarginati dalla diocesi in qualche angolo senza incarichi o utilizzati come tappabuchi. Loro segnalano vistosamente il disagio di interpretare e vivere una professione ormai senza senso in queste comunità indifferenti alla fede, anche se frequentanti le chiese e credulone nelle apparizioni di madonne e santi miracolistici.
Sto dalla parte di don Angelo, che, qualsiasi sia stata l’ambiguità della storia di cui si parla e si è giudicato in tribunale, sicuramente ha agito con la buona fede che caratterizza la sua persona.
Sto dalla parte di don Angelo, vittima due volte della struttura clericale: l’una per aver ricevuto una formazione culturale e umana che gli impedisce di affrontare con coraggio e libertà anche eventuali accuse ingiuste in tutte le sedi; l’altra per l’emarginazione che sta ricevendo da un potere gerarchico che, facendogli credere di essere dalla sua parte, lo mette in disparte, con la segreta speranza di liberarsene definitivamente.
Lucio Eicher Clere

mercoledì 17 novembre 2010

Le Madonne della convenienza

Tra le tante Madonne che la fantasia e l’interesse popolare hanno collocato nel cielo della religione cattolica, quella della Salute, che si celebra il 21 novembre, è una delle più venerate e pregate. E come stupirsene, se a lei vengono attribuiti miracoli di guarigioni un po’ dovunque, dai luoghi più conosciuti e frequentati, come Lourdes, a quelli più defilati, come le chiesette di montagna?  “L’importante è la salute” è uno dei luoghi comuni più ripetuti ad ogni latitudine, e allora a chi, meglio che alla Madonna chiederne tanta e magari sperare che, in caso di malattia o infermità, ci scappi la guarigione?
Nel miscuglio di superstizione e fideismo irrazionale che contraddistingue tanta parte del percorso storico della religione cattolica, la sorte toccata a Maria di Nazareth è una delle più sconvolgenti. Sono convinto che la vera Maria, proprio perché madre di quel Gesù che disse in una delle sue ultime frasi “perdona loro perché non sanno quello che fanno”,  saprà perdonare l’aberrante tradimento perpetrato da quanti l’hanno trasformata da “umile serva”, come lei si definisce nel canto del magnificat, in “regina del cielo e della terra”, come l’hanno cantata e la cantano schiere di devoti, favoriti e incentivati a supplire la mancanza di una Dea nel monoteismo ebraico-cristiano, con la “madre di Dio, santa e immacolata, assunta in cielo in anima e corpo”. E’ evidente a chiunque conosca la figura di Maria, così come è presentata dai vangeli, che a quella donna non si potrebbero chiedere favori o miracoli. Poveretta, non è stata nemmeno in grado di trovare un posto in una locanda di Betlemme quando doveva partorire il suo primo figlio! E poi quell’aria sperduta, lei e suo marito Giuseppe, alla ricerca del figlio adolescente, perso nella confusione del tempio di Gerusalemme. Oppure la richiesta di provvedere al vino durante le nozze di Cana, nemmeno un banale miracolo come quello…Per poter avere una taumaturga a richiesta si è dovuto falsificare Maria di Nazareth e mettere al suo posto una “Madonna”, a cui attribuire litanie di titoli onorifici e, avendola collocata appena al di sotto del potere assoluto di Dio, attribuire a lei la capacità di intervenire nelle cose umane, per favorire il cambiamento degli eventi, soprattutto le sventure e le sofferenze umane . La religione del “pregare per convenienza” o del “fare offerte per ottenere indulgenze e favori dall’alto” ha segnato la creduloneria e l’irrazionalismo religioso della gran parte dei cattolici nei secoli del buio della ragione, concendendo loro certezze di miracoli, facendo passare casualità e fortune per miracoli e benedizioni di Dio. Per tutte le esigenze e le convenienze si è dato un titolo alla Madonna, facendone una sorta di maga abile nel trasformare e fare trucchi.
In questo tempo di distacco dalla religione e di pratiche contrapposte al vangelo, vissute senza scrupoli anche dai devotissimi delle chiese, si affollano i luoghi dove si dice che è apparsa o sta ancora apparendo la Madonna. Questa turista dei luoghi un po’ defilati, che proprio la sua “visita” renderà famosi ed economicamente fruttiferi, crea aspettative e speranze di cambiamento in malati fisici e psichici. Qualche miracolo effettivamente accaduto e dimostrato anche dalla scienza favorisce ed aumenta questo clima di superstizione che caratterizza l’attaccamento alla Madonna.
Recitare qualche rosario, fare alcuni pellegrinaggi all’anno nei santuari più adatti alla bisogna, mandare offerte, seguire le trasmissioni di Radio Maria e psicolabili consorelle, costa poco e può rendere molto. Se va bene, chissà che una qualche Madonna, come quando si puntano i numeri sulle ruote per il lotto, non faccia il miracolo proprio a chi lo ha richiesto. Penso a Maria di Nazareth, nascosta in quale angolo del paradiso per sfuggire all’orrore ed alla mistificazione che di lei hanno fatto i Mariofili, i Mariologi, i Mariomani, i Mariofagi….mutandola in Madonna per darla in pasto ai devoti per convenienza.
Lucio Eicher Clere

domenica 7 novembre 2010

La "Sacra famiglia" non può essere un modello

La consacrazione della stupenda cattedrale di Barcellona, la Sagrada Familia di Antoni Gaudì, ha riportato l’attenzione, oltre che sulla grandiosità dell’opera, in continua lavorazione da più di cent’anni, sulle parole del papa Benedetto XVI sulla famiglia e le tematiche che ad essa sono connesse. Nei discorsi del papa ed in generale dei vescovi c’è molta attenzione nei confronti delle problematiche che si incentrano sul nucleo primario che unisce due individui e costituisce la concreta possibilità di generare nuovi uomini e quindi la continuità della specie.
Una attenzione che spesso è condizionata dalla visione negativa della sessualità, che ha caratterizzato e ancora caratterizza certa teologia e molta predicazione cattolica. Anche se alcune amnesie nei confronti di personaggi pubblici, come il capo del governo italiano e altri suoi sodali, che sarebbero degni di scomunica, secondo la morale tradizionale della Chiesa, e invece sono comunque compresi e perdonati perché garantiscono buone offerte e privilegi di potere, lasciano il dubbio sulla coerenza e profeticità di certi discorsi gerarchici riguardanti i temi della famiglia.
Ma un argomento, che non può non lasciare dubbiosi e perplessi quanti ritengano centrale la famiglia nell’amore tra due individui (non importa se etero o omosessuali) e nella costruzione di una società equilibrata e responsabile, è la proposta che la Chiesa cattolica fa della “Sacra Famiglia” come ideale da imitare per tutte le famiglie cristiane.
Se penso alla famiglia che Giuseppe e Maria costituirono duemila anni fa, mi viene logico ritenere che, essendo persone normali del popolo ebreo, credessero alla benedizione di Dio, che consisteva  nell’avere figli per la continuità della promessa fatta ad Abramo da Jahvè: “E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni. (Gn 17,6). “Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui per essere il Dio suo e della discendenza dopo di lui. (Gn 17, 19)”. Non mi ha mai convinto la novellistica dei vangeli dell’infanzia sia ufficiali che apocrifi, che identificano Giuseppe come un vecchio con la barba bianca, quasi fosse un frate tolto dal convento per accudire una adolescente, a cui era capitato di rimenere incinta in modo misterioso ed incomprensibile. Come non mi ha mai convinto la spiegazione che i “fratelli di Gesù”, di cui racconta in particolare il vangelo di Marco, capitolo 6, versetto 3, “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” siano in realtà dei cugini, perché nella lingua aramaica la parola poteva essere ambivalente. Da credente nell’amore di Dio, che ha tanto amato gli uomini da farsi loro fratello nella carne di Gesù di Nazareth, non riesco a pensare ad una famiglia “sacra”, dove Dio abbia voluto escludere la sessualità perché suo figlio non ne fosse contaminato. Anzi mi pare molto normale, nello stile dell’alleanza di Dio con gli uomini raccontata dalla Bibbia, che Giuseppe e Maria, pur avendo aderito con l’oscurità della fede alla chiamata di Dio sul loro figlio Gesù, abbiano avuto una normale vita di coppia, con numerosi figli e nipoti. La scelta di Gesù e del primo divulgatore del Cristianesimo, Paolo di Tarso, di rinunciare alla sessualità ed alla formazione di una famiglia è da considerarsi una eccezione, da inquadrare nella rinuncia ai beni di questo mondo in favore del Regno, che Gesù poneva come ideale assoluto. La normalità di una famiglia, invece, è quella di Giuseppe e Maria che, oltre a Gesù, hanno avuto tanti altri figli dentro ad un sereno e normale rapporto matrimoniale. Perciò proporre la “Sacra Famiglia” come modello da imitare, se ci si riferisce ad un Giuseppe casto e ad una Maria vergine prima, durante e dopo il parto, è assurdo per una normale famiglia di donne e uomini nella storia, ma è anche eretico perché tende a imporre a Dio concetti che non gli corrispondono.
E’ difficile per una gerarchia ecclesiastica, che ha ritenuto per secoli la sessualità una condizione di peccaminosità derivante dal peccato originale, proporre discorsi sereni attorno alla famiglia ed alla sessualità ad essa collegata per istinto naturale immesso dal Creatore. Ma se almeno togliessero quell’improponibile modello di “Sacra Famiglia”, da additare alle coppie di fedeli che ancora li ascolta…
Lucio Eicher Clere