domenica 25 agosto 2013

Domenico delle montagne




Costalta è un nome esplicito, paese radicato sul pendio del monte Zovo, con gli occhi delle case a sud, per ricevere tutta la luce del sole, che l’orizzonte gli concede. Appartenervi è condizione famigliare oppure scelta ragionata. Domenico Di Stefano, montanaro d’Abruzzo, era arrivato a Costalta casualmente, cercando una occasione di acquisto di una casa nelle Dolomiti. Una casa non rifinita, perché per lui, che aveva appreso le tecniche di muratura, ma anche di idraulica ed  di elettricistica nella costruzione della sua casa a Lavinio, sarebbe stato importante metterci mano e renderla funzionale all’abitabilità condivisa.  Non è stato un turista, come i tanti che comprano la seconda casa in montagna; Domenico è entrato da subito nella comunità, conoscendo le persone, rendendosi disponibile all’organizzazione sociale e parrocchiale, contribuendo in ogni occasione a superare eventuali problemi o difficoltà.
Montanaro di spirito, egli si sentiva a proprio agio nel paese che considerava ormai suo. Ne conosceva le stradine, i sentieri più adatti a raggiungere la vetta dello Zovo, dove amava spaziare con lo sguardo e far salire dal cuore alle labbra lodi di ringraziamento al creatore per aver deliziato la mente dell’uomo con la bellezza e l’armonia delle forme e dei colori che decorano i paesaggi montani. Una appartenenza dell’animo, che sapeva comunicare ai tanti amici della pianura, che negli anni sono saliti, magari ospiti in quella mansarda trasformata in  spazio ricettivo e accogliente, con soppalchi in legno, balaustre sopraelevate, dove disporre una branda per consentire una o due notti di pernottamento e respiro fresco dall’afa estiva della riviera del Brenta. Diversi amici di Domenico hanno acquistato casa a Costalta, contribuendo a formare una piccola comunità di ospiti che ben si integrano nella comunità degli originari. Domenico aveva la capacità di dialogare e farsi capire anche dalle persone che nei paesi hanno la tendenza a contrapporsi a chi viene da fuori. Stemperava i contrasti, cercava i compromessi, se c’era il caso rinunciava a qualcosa pur di superare gli ostacoli.
Anche quando la malvagità di alcuni abietti, raccolta e rilanciata con una denuncia penale da parte del sindaco di San Pietro e dal maresciallo dei carabinieri di Santo Stefano, che lo avevano accusato di tentato furto di corrente elettrica, perché aveva aperto una scatola elettrica sul palo della corrente pubblica, per staccare un filo penzolante, che era pericoloso per le persone che andavano a messa nella cappellina attigua alla sacrestia, poteva portarlo a chiudere ogni relazione umana con questi calunniatori, Domenico non si ribellò all’ingiustizia e affrontò con fiducia il processo penale. Sei udienze che lo prostrarono fisicamente, ma che alla fine dimostrarono con evidenza, cioè con la formula “il fatto non sussiste”, che l’azione era stata fatta a fin di bene.  E’ possibile che quel piccolo calvario sia stato tra le cause che hanno minato il suo fisico, ma il suo animo era uscito indomabile anche da quella brutta esperienza. Come una roccia, Domenico sfidava il vento delle avversità e riusciva con poche parole a comunicare fiducia e riportare serenità dove poteva esserci cupezza e astiosità.
I molti paesani che erano diventati suoi amici contavano in una sua presenza più continuativa dopo che era andato in pensione. Progetti e voglia di lavorare per un rilancio dell’attività parrocchiale, spenta ormai da anni, non mancavano di intessere gli incontri intorno a un tavolo, assaporando le sue minestre di fagioli, o le sue pizze cotte nella stube, o le camminate sui sentieri dove negli anni Ottanta era passato anche Karol Wojtyla, il papa amante della montagna, che Domenico, Gabriella e le figlie ebbero la fortuna di incontrare in un pomeriggio scendendo da Monte Zovo. Resterà il rimpianto di aver dovuto subire lo strappo della sua morte troppo presto, troppo inaspettatamente.
Domenico diceva che avrebbe voluto essere sepolto nel cimitero di Costalta, per poter guardare le Terze, che ammirava dalle finestre della sua casa. Non importa se i suoi resti diventeranno terra altrove. Tra il monte Zovo, le Terze, il Peralba e il Popera volteggia nel vento la sua anima di luce e d’amore.

Lucio Eicher Clere