martedì 21 dicembre 2010

Le parole vuote del vescovo Andrich e quelle piene dei preti della "Lettera di Natale"

Sempre di più le parole della fede hanno bisogno di comportamenti coerenti  per essere comprese e soprattutto divenire credibili. Quanto vuote sono la gran parte delle “prediche”, delle conferenze, delle esortazioni , del fluire continuo dalle bocche di professionisti della religione, se non trovano riscontro nell’agire dei retori vaniloquenti?  Il vescovo di Belluno-Feltre, Giuseppe Andrich, nella ricorrenza di San Martino, patrono della diocesi, ha predicato in cattedrale, come fa sempre e nessuno lo ricorda, vista la banalità delle cose che ripete. Non varrebbe certo la pena fermarsi su qualche sua frase, ma poiché “Avvenire”, il quotidiano della Cei, ne ha riportato un paio, in un servizio giornalistico del giorno dopo, queste offrono il pretesto per capire la vacuità del parlare di certi prelati e la contraddizione con i loro comportamenti. Dice Andrich: “La secolarizzazione, anche dentro la vita della Chiesa produce, nei nostri paesi di tradizione cristiana, la crescita di alberi e zone boscose di paganesimo e di idolatria”. Il vescovo di Belluno non si accorge che quella che egli chiama “secolarizzazione”, come processo esterno alla Chiesa, in realtà è lo stile a cui lui per primo si è adeguato nel quieto vivere di Seminario e Curia, nel mantenimento della struttura clericale sempre più obsoleta rispetto alla vita delle persone, nell’ ignorare per comodità la radicalità della sequela di Gesù, tenendo di più ai privilegi e al potere che non alla libera condivisione della precarietà e della povertà. Ma dove il monsignore rivela la sua vacua ipocrisia è in un altro passaggio del citato discorso: “Quando siamo oggetto di forti e rabbiose contestazioni per posizioni che sono secondo ragione, prima di essere conformi alla nostra fede, sentiamo che si verifica quello che Gesù dice “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Tu, Giuseppe Andrich, un perseguitato? Tu, che vivi in una provincia dove l’informazione è quasi totalmente in tuo possesso, attraverso televisione, radio, settimanale più letto, bollettini parrocchiali, e due quotidiani che usano nei tuoi confronti solo la piaggeria e l’incensazione e mai una riga di critica, tu saresti un perseguitato? Forse per capire cosa significa questa parola dovresti chiederlo ai preti che hai emarginato e confinato in mansioni inutili, incurante e insensibile ai loro drammi, dopo averli mandati avanti nei corsi di teologia quand’eri  rettore del seminario e raccattavi “oves et boves”, pur di ingrossare numericamente la misera casta del clero bellunese. O forse dovresti chiederlo a quel professore di religione, accusato ingiustamente di furto, anche a causa del tuo complice silenzio,  che ha dovuto subire l’umiliazione di tutte le udienze processuali per arrivare ad una sentenza che lo ha assolto “perché il fatto non sussiste”? E le comunità cristiane abbandonate, malservite o rovinate da presenze sacerdotali dannose?  Le parole del vescovo Andrich sono vuote e falsificate dai suoi comportamenti.
Parole piene invece sono quelle che possiamo leggere nella “lettera di Natale”, che alcuni preti friulani diffondono pubblicamente, scrivendo di fede, di tematiche sociali, di vita cristiana vissuta in coerenza con il vangelo, che essi testimoniano con le loro scelte comportamentali. Per loro fare il prete non è mettersi i paramenti e celebrare messe e liturgie sempre più vuote di senso, ma tentare di mettere in pratica le parole di Gesù nel modo più fedele possibile. Si coglie la verità quando scrivono:  “Gesù ci dice dove Dio si rivela e sta: in mezzo, coinvolto, partecipe, non lontano. E così chiama anche noi a stare in mezzo, schierati con le persone povere e sofferenti, senza nessun segno distintivo, abito particolare, titolo onorifico, ma con l’unico segno della nostra umanità disponibile”.  Si sente la tensione verso una Chiesa diversa e fedele al suo fondatore. “L’attenzione di Gesù verso le donne è straordinaria e rivoluzionaria in quel contesto sociale e religioso. Per la Chiesa questi incontri dovrebbero stimolare una autentica valorizzazione della differenza di genere e favorire la presenza delle donne, la possibilità di svolgere diversi ministeri, come avviene nelle Chiese Evangeliche.” Il Gesù che essi  raccontano, più che predicare, è quello contro il potere e il denaro, quello che proclama beati i nonviolenti, per cui “la produzione e il commercio delle armi, la giustificazione delle guerre, i cappellani militari, i funerali religiosi di Stato in cui le parole dei celebranti sono scandalosamente simili a quelle dei Ministri della Difesa, lo stanziamento di quasi un miliardo di euro per gli armamenti, le armi atomiche custodite nella base Usaf di Aviano, ci appaiono come ripetute ferite al vangelo della pace”. Per questi ministri della Chiesa cattolica il crocefisso non è un simbolo da esibire come identificazione etnico-culturale. “Tristezza e sdegno ci investono per come viene usato strumentalmente da una religione etnicizzata, per contrastare e attaccare persone diverse per cultura e fede religiosa. Gesù Crocefisso, che ha dato la vita per gli altri, viene volgarmente utilizzato per negare la vita di altri”.
Le parole di questi cristiani, in servizio nelle comunità come preti, riescono a riempire la fede svuotata dai “falsiloqui” di un vescovo.
Lucio Eicher Clere

martedì 14 dicembre 2010

I pochi nostalgici del Concilio Vaticano II



Un convegno sul Concilio Vaticano II, a 45 anni dalla sua conclusione, ha riproposto nel Centro Balducci di Zugliano le emozioni e le grandi speranze di quegli anni attraverso i ricordi e le valutazioni sempre attualizzate di Raniero La Valle, intellettuale cattolico lucido e appassionato. Eravamo in pochi ad aver risposto all’invito di don Pierluigi Di Piazza a riflettere su quell’evento concepito da Giovanni XXIII e realizzato dalla maggioranza dei vescovi progressisti, contro l’oscurantismo della Curia vaticana. Pochi e attempati. Nessun giovane, qualche quarantenne, a dimostrazione che il Vaticano II è stato un episodio circoscritto e purtroppo reso inefficace nella sostanza dal revisionismo a cui l’hanno sottoposto i dubbi di Paolo VI e il conservatorismo di Giovanni Paolo II e dell’attuale Benedetto XVI. E’ stato commovente riscoprire nella generazione che quel Concilio l’ha vissuto da giovane la nostalgia per una “Chiesa altra”, per un ritorno di fedeltà alla parola di Gesù, e l’illusoria speranza che quella “rivoluzione” inziata a metà degli anni Sessanta possa riproporsi e continuare ancora oggi. Il lento e costante rinnegamento delle affermazioni conciliari sul primato del popolo di Dio rispetto alla gerarchia (Lumen Gentium),
il cammino a fianco degli uomini (Gaudium et Spes), le aperture ecumeniche (Unitatis redintegratio), l’attenzione verso mussulmani ed ebrei (Nostra aetate), ha avuto l’effetto di circoscrivere le novità del Vaticano II a pochi aspetti esteriori, come la liturgia in lingua moderna anziché in latino, e qualche parvenza di democrazia nelle diocesi e parrocchie e nei nuovi movimenti ecclesiali. Altro si sarebbero aspettati i partecipanti al convegno del Centro Balducci, molti dei quali continuano a operare nella responsabilità di cristiani motivati dentro alle strutture ecclesiali. La vera rivoluzione conciliare avrebbe dovuto cambiare la Chiesa cattolica soprattutto nei suoi legami di potere e di ricchezza, nella democrazia interna, dove ci si riconosca per doni e ministeri da mettere a servizio della comunità e non dalle fasce rosse e dai cappelli di anacronistiche e ridicole fogge, nel ruolo delle donne ad ogni livello di responsabilità, nella libera ricerca teologica, nella formulazione delle verità di fede con linguaggio contemporaneo. Molti non disperano e continuano a vivere dal basso le applicazioni della rivoluzione conciliare. Lo hanno fatto le comunità di base sparse in tutti i continenti; lo fanno molti preti e vescovi, che ignorano il loro incarico di potere, mettendo le proprie doti a servizio della comunità che presiedono, valorizzando alla pari tutti gli altri fratelli e sorelle di fede; lo fanno anche molti cristiani senza chiesa, che si sentono alla sequela di Gesù in ricerca ed in fraternità con i credenti di tutte le religioni che cercano il Dio dell’Amore. In questo senso il Concilio Vaticano II si sta ancora attuando e lo Spirito prosegue la sua opera di rinnovamento delle comunità cristiane incrostate da
strutture di privilegio, di falsità e di potere. La certezza che i pochi nostalgici del Vaticano II devono avere è che quell’evento resterà irrepetibile, se si spera che la rivoluzione avvenga ancora con decisioni prese dall’alto. La gerarchia si è dimostrata, e forse lo è per essenza, irreformabile. L’esempio più netto è la figura di Ratzinger, teologo di belle speranze, collega di Hans Kung nella stagione del rinnovamento conciliare, poi integrato nella struttura gerarchica e diventato custode della conservazione e stroncatore di teologi liberi nella ricerca e contestatori del dogmatismo.
Non serve avere nostalgia del Vaticano II. Oggi un analogo consesso episcopale non avrebbe alcun riscontro nella vita della Chiesa. Ha provveduto la mentalità scientifica e l’amoralità capitalistica a rendere vuote e insignificanti le parole sia del tradizionalismo clericale, sia del finto progressismo di tanti preti giovanilisti, anche dentro alle folle frequentanti le chiese e i santuari. Se le intuizioni e i semi del Vaticano II potranno fruttificare, ciò sarà possibile solo con la coerenza tra parola e vita nelle piccole comunità e nella prassi fraterna e antigerarchica di quei preti e quei vescovi che, anziché il potere, scelgono il servizio degli ultimi e la libertà di pensiero e di parola come ha insegnato Gesù.
Lucio Eicher Clere

domenica 28 novembre 2010

Dalla parte di don Angelo Crepaz

Un prete della diocesi di Belluno, don Angelo Crepaz, ha patteggiato davanti al giudice per un reato che assicura di non avere commesso. Era accusato di aver sottratto soldi dal conto di un disabile che si era affidato a lui, quand’era parroco in un paese vicino a Longarone, Codissago. Nella vicenda, per caricarla di tinte rosa e di morbosità, ci sarebbe anche una donna, per assecondare la quale don Angelo avrebbe sottratto il denaro.
Non conoscevo don Angelo. Me ne avevano parlato con molta stima e affetto degli amici di Vallada Agordina, dove il prete aveva svolto un incarico pastorale negli anni Novanta, ed era stato molto apprezzato dalla gente, tanto che, quando il vescovo Brollo lo trasferì a Codissago ci fu una mobilitazione di protesta. Lo incontrai un giorno nella canonica di Codissago. Un luogo trascurato, non certo simile agli appartamenti o alle villette nelle quali si rintanano la gran parte dei preti-impiegati del sacro di queste nostre diocesi, ma aperto a chiunque volesse frequentarlo, dov’era visibile la presenza di gruppi di volontariato per attività paesane. Ci presentammo, e don Angelo mi parlò del disagio della attività pastorale, delle difficoltà di svolgere il ministero sacerdotale in comunità dove la fede cristiana è in sempre più evidente arretramento, del suo precario rapporto con i dirigenti diocesani, che avevano relazione diretta con il diacono Zoldan, residente in quel paese, escludendolo il più delle volte anche dalle informazioni concrete tra Curia e parrocchia di Codissago. Non mi diede l’impressione di un prete contestatore, né tantomeno di uno spirito critico nei confronti del conservatorismo ecclesiale. Mi era venuto spontaneo collocare questa figura di prete, nato in una comunità semplice e tradizionale della montagna dolomitica, come uno di quelli che avevano scelto questa professione per un indotto senso di “vocazione”, illusi di esercitare un ruolo sociale e religioso di una qualche importanza, cresciuti in un seminario dove si è cercato di appiattire ogni originalità per “confezionare” preti fuori tempo e fuori luogo. Trovatosi poi nella vita quotidiana di comunità a-religiose, don Angelo aveva cercato di adattarsi al suo ruolo di prete nel modo più vicino alle persone e meno dannoso per non far perdere quel poco di tradizionalismo religioso che ancora rimane nelle famiglie anagraficamente cattoliche. Di sicuro non era un trafficante di denaro o un approfittatore dei deboli. Anzi, i molti che l’hanno conosciuto e stimato sono pronti a giurare che don Angelo non ha commesso quel reato per cui ha patteggiato.
Ho reincontrato questo prete qualche giorno prima dell’udienza in tribunale di Belluno. Era tornato nella sua prima parrocchia, a Vallada, per la festa di San Simon, patrono del paese. Parlando della vicenda spiacevole, che lo aveva portato, suo malgrado, sulle pagine dei giornali locali e nazionali, gli avevo offerto la mia disponibilità di giornalista per dare voce a lui nel raccontare la sua vicenda, così “maltrattata” dal giornale su cui anch’io firmo articoli. Ma egli si è rifiutato irremovibilmente, dicendomi che il vescovo gli aveva creduto e lo stava difendendo e sostenendo anche nelle spese processuali. Da critico del vescovo, quale l’avevo sentito la prima volta a Codissago, era passato a suo fedele servitore, ringraziandolo anche perché gli avrebbe trovato un posto come cappellano dell’ospedale di Belluno. Tutti sanno come quella collocazione sia un ripiego per non eliminare qualche imbarazzante sacerdote, incapace di fare il parroco o magari in crisi esistenziale o di esaurimento depressivo. Conoscendo il cinismo del potere clericale, so bene che non è per amore e vicinanza a don Angelo Crepaz che il vescovo e la Curia di Belluno lo stanno sostenendo e gli pagano le spese processuali, consigliandogli il patteggiamento. Questi forse non si curano nemmeno di sapere cosa sia accaduto e quale sia la verità di don Angelo. A loro importa che della vicenda si parli il meno possibile, che non emergano in cronaca e nei dibattiti sui media le crisi e le difficoltà dei preti, come è accaduto per la scelta del parroco del Duomo di Feltre di convivere con la donna amata e diventare papà.
Sto dalla parte di don Angelo Crepaz e di tutti quei “poveri preti” emarginati dalla diocesi in qualche angolo senza incarichi o utilizzati come tappabuchi. Loro segnalano vistosamente il disagio di interpretare e vivere una professione ormai senza senso in queste comunità indifferenti alla fede, anche se frequentanti le chiese e credulone nelle apparizioni di madonne e santi miracolistici.
Sto dalla parte di don Angelo, che, qualsiasi sia stata l’ambiguità della storia di cui si parla e si è giudicato in tribunale, sicuramente ha agito con la buona fede che caratterizza la sua persona.
Sto dalla parte di don Angelo, vittima due volte della struttura clericale: l’una per aver ricevuto una formazione culturale e umana che gli impedisce di affrontare con coraggio e libertà anche eventuali accuse ingiuste in tutte le sedi; l’altra per l’emarginazione che sta ricevendo da un potere gerarchico che, facendogli credere di essere dalla sua parte, lo mette in disparte, con la segreta speranza di liberarsene definitivamente.
Lucio Eicher Clere

mercoledì 17 novembre 2010

Le Madonne della convenienza

Tra le tante Madonne che la fantasia e l’interesse popolare hanno collocato nel cielo della religione cattolica, quella della Salute, che si celebra il 21 novembre, è una delle più venerate e pregate. E come stupirsene, se a lei vengono attribuiti miracoli di guarigioni un po’ dovunque, dai luoghi più conosciuti e frequentati, come Lourdes, a quelli più defilati, come le chiesette di montagna?  “L’importante è la salute” è uno dei luoghi comuni più ripetuti ad ogni latitudine, e allora a chi, meglio che alla Madonna chiederne tanta e magari sperare che, in caso di malattia o infermità, ci scappi la guarigione?
Nel miscuglio di superstizione e fideismo irrazionale che contraddistingue tanta parte del percorso storico della religione cattolica, la sorte toccata a Maria di Nazareth è una delle più sconvolgenti. Sono convinto che la vera Maria, proprio perché madre di quel Gesù che disse in una delle sue ultime frasi “perdona loro perché non sanno quello che fanno”,  saprà perdonare l’aberrante tradimento perpetrato da quanti l’hanno trasformata da “umile serva”, come lei si definisce nel canto del magnificat, in “regina del cielo e della terra”, come l’hanno cantata e la cantano schiere di devoti, favoriti e incentivati a supplire la mancanza di una Dea nel monoteismo ebraico-cristiano, con la “madre di Dio, santa e immacolata, assunta in cielo in anima e corpo”. E’ evidente a chiunque conosca la figura di Maria, così come è presentata dai vangeli, che a quella donna non si potrebbero chiedere favori o miracoli. Poveretta, non è stata nemmeno in grado di trovare un posto in una locanda di Betlemme quando doveva partorire il suo primo figlio! E poi quell’aria sperduta, lei e suo marito Giuseppe, alla ricerca del figlio adolescente, perso nella confusione del tempio di Gerusalemme. Oppure la richiesta di provvedere al vino durante le nozze di Cana, nemmeno un banale miracolo come quello…Per poter avere una taumaturga a richiesta si è dovuto falsificare Maria di Nazareth e mettere al suo posto una “Madonna”, a cui attribuire litanie di titoli onorifici e, avendola collocata appena al di sotto del potere assoluto di Dio, attribuire a lei la capacità di intervenire nelle cose umane, per favorire il cambiamento degli eventi, soprattutto le sventure e le sofferenze umane . La religione del “pregare per convenienza” o del “fare offerte per ottenere indulgenze e favori dall’alto” ha segnato la creduloneria e l’irrazionalismo religioso della gran parte dei cattolici nei secoli del buio della ragione, concendendo loro certezze di miracoli, facendo passare casualità e fortune per miracoli e benedizioni di Dio. Per tutte le esigenze e le convenienze si è dato un titolo alla Madonna, facendone una sorta di maga abile nel trasformare e fare trucchi.
In questo tempo di distacco dalla religione e di pratiche contrapposte al vangelo, vissute senza scrupoli anche dai devotissimi delle chiese, si affollano i luoghi dove si dice che è apparsa o sta ancora apparendo la Madonna. Questa turista dei luoghi un po’ defilati, che proprio la sua “visita” renderà famosi ed economicamente fruttiferi, crea aspettative e speranze di cambiamento in malati fisici e psichici. Qualche miracolo effettivamente accaduto e dimostrato anche dalla scienza favorisce ed aumenta questo clima di superstizione che caratterizza l’attaccamento alla Madonna.
Recitare qualche rosario, fare alcuni pellegrinaggi all’anno nei santuari più adatti alla bisogna, mandare offerte, seguire le trasmissioni di Radio Maria e psicolabili consorelle, costa poco e può rendere molto. Se va bene, chissà che una qualche Madonna, come quando si puntano i numeri sulle ruote per il lotto, non faccia il miracolo proprio a chi lo ha richiesto. Penso a Maria di Nazareth, nascosta in quale angolo del paradiso per sfuggire all’orrore ed alla mistificazione che di lei hanno fatto i Mariofili, i Mariologi, i Mariomani, i Mariofagi….mutandola in Madonna per darla in pasto ai devoti per convenienza.
Lucio Eicher Clere

domenica 7 novembre 2010

La "Sacra famiglia" non può essere un modello

La consacrazione della stupenda cattedrale di Barcellona, la Sagrada Familia di Antoni Gaudì, ha riportato l’attenzione, oltre che sulla grandiosità dell’opera, in continua lavorazione da più di cent’anni, sulle parole del papa Benedetto XVI sulla famiglia e le tematiche che ad essa sono connesse. Nei discorsi del papa ed in generale dei vescovi c’è molta attenzione nei confronti delle problematiche che si incentrano sul nucleo primario che unisce due individui e costituisce la concreta possibilità di generare nuovi uomini e quindi la continuità della specie.
Una attenzione che spesso è condizionata dalla visione negativa della sessualità, che ha caratterizzato e ancora caratterizza certa teologia e molta predicazione cattolica. Anche se alcune amnesie nei confronti di personaggi pubblici, come il capo del governo italiano e altri suoi sodali, che sarebbero degni di scomunica, secondo la morale tradizionale della Chiesa, e invece sono comunque compresi e perdonati perché garantiscono buone offerte e privilegi di potere, lasciano il dubbio sulla coerenza e profeticità di certi discorsi gerarchici riguardanti i temi della famiglia.
Ma un argomento, che non può non lasciare dubbiosi e perplessi quanti ritengano centrale la famiglia nell’amore tra due individui (non importa se etero o omosessuali) e nella costruzione di una società equilibrata e responsabile, è la proposta che la Chiesa cattolica fa della “Sacra Famiglia” come ideale da imitare per tutte le famiglie cristiane.
Se penso alla famiglia che Giuseppe e Maria costituirono duemila anni fa, mi viene logico ritenere che, essendo persone normali del popolo ebreo, credessero alla benedizione di Dio, che consisteva  nell’avere figli per la continuità della promessa fatta ad Abramo da Jahvè: “E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni. (Gn 17,6). “Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui per essere il Dio suo e della discendenza dopo di lui. (Gn 17, 19)”. Non mi ha mai convinto la novellistica dei vangeli dell’infanzia sia ufficiali che apocrifi, che identificano Giuseppe come un vecchio con la barba bianca, quasi fosse un frate tolto dal convento per accudire una adolescente, a cui era capitato di rimenere incinta in modo misterioso ed incomprensibile. Come non mi ha mai convinto la spiegazione che i “fratelli di Gesù”, di cui racconta in particolare il vangelo di Marco, capitolo 6, versetto 3, “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” siano in realtà dei cugini, perché nella lingua aramaica la parola poteva essere ambivalente. Da credente nell’amore di Dio, che ha tanto amato gli uomini da farsi loro fratello nella carne di Gesù di Nazareth, non riesco a pensare ad una famiglia “sacra”, dove Dio abbia voluto escludere la sessualità perché suo figlio non ne fosse contaminato. Anzi mi pare molto normale, nello stile dell’alleanza di Dio con gli uomini raccontata dalla Bibbia, che Giuseppe e Maria, pur avendo aderito con l’oscurità della fede alla chiamata di Dio sul loro figlio Gesù, abbiano avuto una normale vita di coppia, con numerosi figli e nipoti. La scelta di Gesù e del primo divulgatore del Cristianesimo, Paolo di Tarso, di rinunciare alla sessualità ed alla formazione di una famiglia è da considerarsi una eccezione, da inquadrare nella rinuncia ai beni di questo mondo in favore del Regno, che Gesù poneva come ideale assoluto. La normalità di una famiglia, invece, è quella di Giuseppe e Maria che, oltre a Gesù, hanno avuto tanti altri figli dentro ad un sereno e normale rapporto matrimoniale. Perciò proporre la “Sacra Famiglia” come modello da imitare, se ci si riferisce ad un Giuseppe casto e ad una Maria vergine prima, durante e dopo il parto, è assurdo per una normale famiglia di donne e uomini nella storia, ma è anche eretico perché tende a imporre a Dio concetti che non gli corrispondono.
E’ difficile per una gerarchia ecclesiastica, che ha ritenuto per secoli la sessualità una condizione di peccaminosità derivante dal peccato originale, proporre discorsi sereni attorno alla famiglia ed alla sessualità ad essa collegata per istinto naturale immesso dal Creatore. Ma se almeno togliessero quell’improponibile modello di “Sacra Famiglia”, da additare alle coppie di fedeli che ancora li ascolta…
Lucio Eicher Clere

martedì 26 ottobre 2010

La Chiesa che vuole servire Dio e Mammona

L’economia turistica di un paese di montagna, Sappada, come molti investimenti in una località di mare, Lignano, dipendono dalla scelte della diocesi di Udine. Fino a qualche mese fa c’era un prete, don Luigi Fabbro, a capo di una società a scopo di lucro, che costruisce condomini, impianti sportivi, parcheggi sotterranei, alberghi, colonie e altro ancora. Ma come don Fabbro a Udine, quanti sono i preti, i vescovi, i cardinali finanzieri in seno alle diocesi italiane e a quelle del Nord ricco del mondo?
Vorrei che ci fosse ancora la capacità di scandalizzarsi per il vergognoso compromesso tra Dio e Mammona, che la Chiesa cattolica ha accettato e praticato nel corso dei secoli. E invece i cattolici anagrafici e, peggio ancora, i fedeli bigotti non si stupiscono affatto degli scandali dello Ior, delle vendite truffaldine di palazzi di proprietà dei dicasteri vaticani, degli investimenti borsistici a carattere speculativo, del riciclaggio di denaro da chissà dove proveniente. Anzi molti di loro pensano che fare affari e saper far fruttare il denaro in proficui guadagni sia un segno di benedizione divina. Non si spiega altrimenti la “vocazione” di un movimento cattolico benvoluto da papa Wojtyla e sostenuto anche da Ratzinger, che da decenni si dedica ad incrementare le proprie rendite in tanti campi del capitalismo e si è insediato senza scrupoli nei punti nevralgici del potere, appoggiando ed approfittando dei favori del berlusconismo senza scrupoli e senza morale. Parlo di Comunione e Liberazione, movimento fondato da un prete milanese, don Luigi Giussani, che sembrava dover portare dentro alla società la purezza degli ideali cristiani in contrapposizione alla deriva provocata dal Sessantotto, e invece ha rappresentato e rappresenta la “furbizia” di saper contemperare la fedele devozione alla Chiesa con la capacità di arricchirsi e arricchire la propria congregazione.  Questo e altri movimenti ecclesiali dimenticano senza scrupoli il divieto espresso da Gesù: “Non potete servire a due padroni, a Dio e Mammona (Lc. 16,13). Se leggiamo e ascoltiamo il vangelo non possiamo non capire quale è stato l’invito più pressante di Gesù ai suoi discepoli: il distacco dai beni e dalle preoccupazioni di questo mondo per amare Dio e realizzare il suo Regno di amore e fraternità.
E allora conserviamo la capacità di scandalizzarci, come la ebbe Lutero nel 1500, se la Chiesa che si richiama a Gesù Cristo, e anzi spesso pretende di essere la vera e unica interprete del suo messaggio, non vuole recidere il legame che la rende serva del denaro e della preoccupazione di aumentare i beni propri per mantenersi soprattutto nell’apparato gerarchico. Scandaloso è avere una banca in vaticano; scandaloso è fare speculazioni immobiliari vendendo e costruendo case e palazzi; scandaloso è investire le offerte dei fedeli in borsa; scandaloso è utilizzare l’8 per mille nel mantenimento del clero anziché nell’aiuto dei poveri; scandaloso è fare mercimonio di santi, madonne e luoghi di culto per incamerare denaro; scandaloso è evadere le tasse dello Stato.  Come può essere credibile la predicazione di una Chiesa che fa il contrario di quanto dice il suo fondatore? Per fortuna lo Spirito che guida il cammino dei credenti in Gesù nel corso della storia, nonostante il potere e l’opulenza ecclesiastica, ha saputo suscitare testimoni della fedeltà al vangelo, del distacco da Mammona. Anche in questi anni c’è una Chiesa povera e distaccata dai beni e dal potere che rende credibile il messaggio di Gesù. Penso alle comunità cristiane del terzo mondo, dove è possibile predicare “beati voi poveri” essendo come loro, senza doversi vergognare; penso ai tanti cristiani, anche nel nostro ricco mondo del Nord del pianeta, che praticano il distacco dai beni e utilizzano il denaro e le proprietà a servizio di chi ha bisogno.  Sono questi i testimoni della contemporaneità del messaggio proclamato duemila anni fa da Gesù, non il papa e i cardinali uniti con lui nel lusso del Vaticano.

Lucio Eicher Clere

lunedì 18 ottobre 2010

Le manie sessuali dei vescovi

Le reazioni del Vaticano, ma anche di tanti episcopati periferici, all’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Robert Edwars, lo scienziato che ha sperimentato e applicato alla fecondazione in vitro, consentendo a milioni di coppie non fertili di poter avere bambini, sono l’ennesima prova della poca serenità con cui i prelati si accostano alle tematiche riguardanti la sessualità e la procreazione. La sempre eccessiva attenzione riservata alla sfera del sesso da parte della gerarchia cattolica è figlia dei quasi due millenni di condanna della sessualità come peccato o, al massimo, tollerabile pratica per la procreazione dentro al matrimonio sacramentale. Gli oltre cent’anni di studi psicoanalitici e di liberazione culturale dalla sessuofobia non sembrano aver influito sulla ideologia del magistero cattolico, nonostante gli studi teologici di morale abbiano assunto linguaggi e teorie opposte rispetto a quello che, fino a qualche decennio fa, veniva insegnato nei seminari e nelle facoltà teologiche romane. A sentirli parlare e intervenire sulle tematiche in qualsiasi modo legate alla sessualità, dai preservativi alle cellule staminali, sembra che i vescovi siano affetti da una mania sessuale insuperabile. Eppure questi dovrebbero essere i maestri della scelta profetica di “diventare eunuchi per il Regno dei cieli”, cioè quella proposta radicale di Gesù fatta a chiarimento di una questione espostagli sul tema del ripudio della donna adultera, consentito nella legge mosaica (Mt. 19, 3-12).
Chi legge il vangelo si rende conto di quanto poco Gesù abbia parlato di sessualità. Le volte che lo fa sembra accennarne con distacco, quasi per far capire che non è un argomento su cui centrare l’attenzione della coerenza nella sua sequela. Se poi qualcuno si aspettasse dei giudizi di condanna, come quelli che la Chiesa cattolica ed anche molte protestanti hanno espresso per secoli nei confronti dei peccatori di sesso, troverebbe invece espressioni di misericordia, di rispetto, di valorizzazione dell’atteggiamento di amore che caratterizza anche pratiche socialmente condannate, come la prostituzione. Sono parole sue “le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli”, e non è un paradosso ma affermazione coerente con molte altre pronunciate nella predicazione terrena di Gesù. E tra i suoi “guai a voi” invano si cercherebbe la condanna degli omosessuali e dei transessuali. Sono altri i comportamenti contro i quali Gesù prende posizione: la ricchezza, l’ipocrisia, il fanatismo leguleio, la violenza, l’attaccamento ai beni di questo mondo. Tutti atteggiamenti che la Chiesa non solo ha omesso di condannare, ma ha sottaciuto e spesso praticato essa stessa. Proviamo a immaginare le società in cui il cristianesimo ha impresso il suo insegnamento per secoli, se le gerarchie, anziché predicare contro il sesso e le donne, avessero praticato e insegnato la non violenza, la povertà e la comunione dei beni, il pensiero e la parola libera, come aveva insegnato Gesù. Forse non ci sarebbero stati i fiumi di sangue fratricida nel continente europeo per due millenni; forse il colonialismo e l’accumulo del capitale non sarebbero la piaga che devasta oggi il genere umano, con metà popolazione che sperpera e l’altra che muore di fame. I vescovi sui temi centrali del messaggio di Gesù hanno taciuto o parlato sottovoce, praticando il contrario. Sul sesso invece hanno sproloquiato e condizionato coscienze per secula seculorum. Non sarebbe opportuno che per qualche decina d’anni almeno tacessero e si astenessero da esprimere pareri in qualsiasi campo che sfiori la sessualità? Potrebbero semplicemente ammettere la loro non competenza: “Non parliamo di sesso, noi abbiamo scelto di essere eunuchi per il Regno dei cieli”. E semmai ci fosse bisogno di dare qualche indicazione nella sfera della morale sessuale, lo lascino fare ai cristiani laici, che vivono con gioia lo splendido dono del creatore alle creature animate, l’istinto del sesso e la sua umana razionalità nel disegno del Dio Amore.

Lucio Eicher Clere

domenica 10 ottobre 2010

La santificazione dei morti in operazioni militari

Ogni volta che accade un incidente sul lavoro a soldati italiani impegnati in operazioni militari in giro per il mondo, si scatena la retorica dell’eroismo, quasi che queste siano delle morti più speciali e degne di attenzione di quelle che quotidianamente avvengono in decine di altri luoghi di lavoro in Italia e all’estero. Sicuramente dietro a questa esaltazione del sacrificio umano, allo scatenamento mediatico che immancabilmente occupa prime pagine di giornali, servizi televisivi e radiofonici, c’è il retaggio invincibile della struttura bellicista con cui sono state costruite le società umane fin dai primordi della storia. “E’ bello e onorevole morire per la patria” è la menzogna che i governanti si tramandano da un potere all’altro per giustificare il mantenimento della struttura di violenza degli eserciti.  La non volontà di liberarsi di questi strumenti dell’assassinio legalizzato nemmeno nella Europa contemporanea, che della guerra interna tra stati della UE, dopo due millenni di macelli su questo continente, ha fatto un tabù tacito ma accettato da tutti dopo la seconda guerra mondiale, è la dimostrazione di quanto sia difficile, se non impossibile, uscire dalla logica della difesa armata, da opporre ad offese di pari o maggiore potenza.
L’ultimo incidente sul lavoro in Afganistan, dove sono morti quattro alpini, che facevano parte di un battaglione di una caserma di Belluno, ha avuto il suo primo spargimento di  verbosità patriottarda e militaresca negli spazi sacri di una chiesetta interna ad una caserma. Ma poi c’è stato il radoppio con la messa solenne celebrata in cattedrale dal vescovo.  Perché le chiese devono essere usate per queste celebrazioni di santificazione del militarismo e della difesa armata? In ogni occasione di ritorno di salme di morti in operazioni belliche (chiamate “missioni di pace” e, quegli sfortunati soldati definiti “caduti”, come nel più becero linguaggio bellico), la Chiesa cattolica italiana si presta a fare da Grande Madre, che accoglie tra le braccia del Dio misericordioso le anime eroiche e santificate dei morti in azioni di guerra. Perché la comunità dei credenti in Gesù di Nazareth, che ha praticato e predicato la nonviolenza e l’amore per i nemici, deve rimanere legata agli schemi ed ai modelli della società militarista? Perché le Chiese cristiane, tutte quelle che si richiamano al figlio di Dio fatto uomo, non recidono gli intrecci che per secoli le hanno viste fronteggiarsi, a volte proprio in nome di Dio, su fronti opposti a sostegno, o servendosi,  di eserciti assassini?
Fa specie pensare che il presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, sia stato Ordinario militare per l’Italia, cioè parificato a un Generale di Corpo d’Armata, stipendiato dall’Esercito italiano, da cui probabilmente percepisce una lauta pensione. Fa male ai credenti nel Dio Amore sentire parole come quelle pronunciate da un vescovo in un funerale di un morto sul lavoro militare: “Quest’uomo era imbevuto di ideali e di altruismo, da additare ad esempio dei giovani”. Se a dire queste oscenità è il ministro della difesa La Russa, un nostalgico del “milione di baionette” di mussoliniana memoria, ci si rassegna. Ma che a confondere l’idealità dell’altruismo, del donare la vita per gli altri, del porgere l’altra guancia, del far del bene a coloro che ci odiano, con l’uso più tecnologico possibile di strumenti di morte, dai carrarmati ai fucili mitragliatori, sia un ministro della Chiesa è uno scandalo intollerabile.
Ci sarà qualche vescovo, qualche prete che si rifiuterà di celebrare funerali spettacolari per i morti in operazioni dell’esercito italiano all’estero? Ci sarà qualche gruppo ecclesiale che denunci la commistione inamissibile tra la sequela di Gesù e la professione di soldato?
Ordinari militari , cappellani militari, vescovi che si mettono il cappello d’alpino sono vergogne talmente provocatorie, che dovrebbero svegliare l’indignazione di tanti cristiani che amano la pace senza compromessi e falsità retoriche.

Lucio Eicher Clere

domenica 3 ottobre 2010

Le bestemmie recitate in chiesa

 Il Vaticano ha preso le distanze dal comportamento blasfemo del presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Dall’Osservatore Romano ai fogli parrocchiali della domenica nelle più periferiche parrocchie, ai canali televisivi dei vescovi, si è stigmatizzata la bestemmia diffusa in registrazione filmata. Radio Maria ed emittenti sorelle hanno espresso la loro grande sofferenza per l’offesa arrecata a Dio (quella a Rosy Bindi non conta) ed indìcano delle novene riparatorie a suon di rosari recitati da chiese collegate in diretta. Ma come, il grande benefattore della chiesa cattolica italiana, ha bestemmiato in pubblico? No, questo non è tollerabile! Si erano chiusi gli occhi e le orecchie sul suo operato di capitalista senza scrupoli, che aveva ingrandito il suo giro di affari riciclando soldi della mafia, ospitando un mafioso a casa sua; si era sorvolato sulla corruzione di giudici, sull’evasione fiscale e le società di comodo nelle repubbliche centroamericane, sulle operazioni spregiudicate fuori dalla legalità; si era lasciato perdere la sua azione corrutrice di fondatore delle televisioni private che hanno atrofizzato le menti di adulti e bambini; si era ignorato il comportamento immorale di divorziato e donnaiolo, concedendogli di fare la comunione in messe private e pubbliche. Pur di avere un politico benevolmente disposto a concedere favori e privilegi alla chiesa italiana il Vaticano e le sue rappresentanze sparse in ogni diocesi hanno sostenuto e invitato a votare per questo personaggio anticristiano e per la cricca che attorno a lui si è formata, immoralizzando la cosa pubblica in Italia per quasi vent’anni. Ora prendono le distanze dal loro protetto per una banale bestemmia, dando ragione all’invettiva di Gesù contro gli ipocriti sulla pagliuzza e la trave. Mi viene da pensare che questi condannino la pagliuzza per poter salvare la trave immonda del berlusconismo politico.
Ma se per le bestemmie ci si deve indignare, allora lasciatemi dire che a me fanno più rabbia (santa rabbia!) altre bestemmie, quelle pronunciate da preti e laici autorizzati in alcune cerimonie dove hanno libero spazio di parole indegne i rappresentanti di organizzazioni armate. Giorni fa è stata ospitata sul giornale Il Fatto Quotidiano una lettera che riportava il testo dell’orribile “preghiera dell’aviatore”, che è stata recitata nella cattedrale di Loreto. Permettere che nello spazio sacro di una comunità nata dal noviolento Gesù di Nazareth si pronuncino queste parole “Tu, Dio, dacci le ali delle aquile, l’artiglio delle aquile, lo sguardo delle aquile per portare ovunque l’amore, la bandiera, la gloria d’Italia e di Roma”, è un peccato mortale contro il Dio dell’Amore. Quegli assassini che sorvolano città e villaggi per sganciare bombe “intelligenti” che distruggono case e vite umane, osano pregare Dio che li guidi? No, non è sopportabile sentir recitare queste bestemmie in chiesa. Come non è tollerabile, per dei credenti pacifisti e seguaci di Gesù che ha insegnato l’amore anche per i nemici, continuare a sopportare vescovi e preti in questi territori di montagna che lasciano salire sull’ambone dell’altare dei pseudodevoti a recitare la cosiddetta “preghiera dell’alpino”? Sentite la bestemmia concettuale: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra civiltà cristiana”. Ma sentite anche la bestemmia berlusconiana (non in barzelletta), pronunciata ad alta voce nelle chiese, sotto la finta richiesta di protezione alla Madonna: “E tu Maria,madre di DIO CANdida come la neve…”. E continuano a recitare bestemmie con la benedizione clericale in ogni funerale di alpino, in ogni cerimonia dove si rievochino episodi di guerra. Quasi quasi mi viene da ridere a sentire la barzelletta con bestemmia di Berlusconi…

Lucio Eicher Clere (Lo spirito di Gioele)

martedì 28 settembre 2010

I diaconi ridotti a chierichetti tardoni

Mi è capitato recentemente di partecipare ad una cerimonia liturgica, di quelle solenni dove l’apparato clericale fa sfoggio di una ritualità teatrale, ancorchè incomprensibile ai più. Vescovi e monsignori, con tanto di segretari aiutanti per  mettere e togliere dalle auguste teste  la mitria, per sistemare la papalina rossa, dargli in mano e levare il pastorale, un cerimoniere per dirigere il traffico di concelebranti tra l’altare e l’ambone, e poi due attempati chierichetti, vestiti da prete, con camice e pianeta dorata, che si trastullavano con turibolo e incenso, saltellando intorno ai celebranti per sostenere la patena ed il calice, andando incontro alla folla dei fedeli con la pisside in mano per porgere loro la particola della comunione.
Ah i diaconi, che utili servi del clero! Nella diocesi di Belluno Feltre quella dei diaconi-maggiordomi è stata una scoperta del ventennio ducoliano. Uomini di una certa età, possibilmente sposati e non alla ricerca di avventure, che facessero un percorso di apprendimento di alcune tecniche cerimoniali e si rendessero disponibili a fare i preti supplenti per alcune funzioni di secondo livello. Eccoli quindi guidare la macchina del vescovo, leggere e cantare il vangelo nelle messe solenni, fare i tappabuchi degli uffici della Curia, e altre mansioni che possano dare soddisfazione al loro desiderio di onorificenza ecclesiastica. In quegli anni era stata fatta una specie di scuola di diaconato e tra i primi partecipanti c’era anche un maresciallo degli alpini in procinto di andare in pensione. Mi è accaduto di essergli vicino mentre esprimeva ad un compagno di corso queste espressioni: “Ti pensi, amico mio, quando saremo consacrati diaconi, che saliremo per la navata con il camice e la dalmatica per celebrare sull’altare con i sacerdoti!”
Invece che riscoprire la diaconia, cioè lo spirito di servizio, che dovrebbe essere lo stile di ogni cristiano che si pone alla sequela di Gesù, la Chiesa cattolica ha incentivato lo spirito di carriera ed il desiderio di mettersi le stellette di alcuni laici frustrati per non aver potuto fare i preti secondo il percorso stabilito. Anziché
declericalizzare la comunità cristiana, in questi tempi di scarsità di preti voluti dallo Spirito, per far crescere un laicato adulto e responsabile, si è scelta la scappatoia dei mezzi preti per ridurre a folclore quel primo servizio organizzato di condivisione materiale della comunità cristiana delle origini.
Lucio Eicher Clere (Lo spirito di Gioele)

sabato 25 settembre 2010

Il Centro Balducci di Zugliano, un faro per il Nordest

In questi giorni si è svolto tra Udine e i Laghi di Fusine nel Tarvisiano il convegno “Spiritualità per umanizzare il mondo”, organizzato per la diciottesima volta dal Centro Balducci di Zugliano, di cui è presidente don Pierluigi Di Piazza. A questi appuntamenti di fine estate partecipano persone da molti paesi del mondo, in particolare dall’Africa e dall’America Latina, per riflettere e testimoniare sulle esigenze della giustizia, della legalità, della pace, dei diritti umani, dell’accoglienza, della convivenza. Quest’anno l’attenzione era concentrata in particolare sulla terra, l’acqua, l’ambiente vitale. Per questo la conclusione della tre giorni di interventi e dibattiti si è tenuta sulle rive del lago superiore di Fusine, con la dichiarazione da parte dei rappresentanti di vari popoli nelle rispettive lingue dell’assunzione di responsabilità per un’etica mondiale, per la salvaguardia dell’ambiente.
Nella serata introduttiva, oltre a don Pierluigi, hanno parlato il vescovo cileno della  Patagonia Luis Infanti de la Mora su “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana”, la teologa della Liberazione del Brasile Ivone Gebara su “L’anima femminile e il volto materno di Dio nella teologia della liberazione con tutti gli esseri viventi”, e una delle personalità più eminenti della teologia europea degli ultimi decenni, Jurgen Moltmann su “Una religione comune della Terra. Religioni mondiali in una prospettiva ecologica”. Mi riprometto di tornare sull’intervento di Moltmann, di grandi prospettive teologiche contemporanee.
Voglio qui segnalare la forte testimonianza, per la cristianità del territorio legato all’antica Aquileia, di questo centro culturale dedicato ad Ernesto Balducci, intellettuale e profeta del post concilio italiano, creato attorno alla canonica di Zugliano, dove don Pierluigi Di Piazza, carnico di Tualis, è parroco da oltre vent’anni. Quando si trattò di impiegare i soldi stanziati dalla Regione nel dopo terremoto per ristrutturare la canonica di Zugliano, don Pierluigi pose subito delle condizioni: non volle che si facesse la villa del prete; non volle che si ristrutturassero gli spazi per farne ambienti chiusi e riservati solo ai bigotti. Mise quindi a disposizione alcune stanze della canonica a famiglie emigrate dai Balcani e via via negli anni si crearono nuovi alloggi, fino a raggiungere l’attuale accoglienza di oltre 50 persone immigrate di varie nazionalità. Don Pierluigi ha fatto del Centro Balducci un luogo di ospitalità e di promozione culturale, unendo l’offerta della casa, del cibo, la ricerca del lavoro, con il dibattito culturale sui temi legati alla giustizia, alla pace, alla solidarietà, in un contesto sociale ed ecclesiale spesso sordo e disattento a questi problemi. Infatti nel Nordest dove la maggioranza degli elettori vota Lega Nord, dove l’egoismo sociale fa chiudere occhi e menti ai problemi degli immigrati, dove la stessa Chiesa parla sottovoce per non perdere offerte, il Centro Balducci è diventato un punto di riferimento per uomini e donne di buona volontà nel esprimere solidarietà concreta e nel proporre nuovi valori cristiani, fuori dagli schemi e dai paludamenti della religione ufficiale. Infatti a Zugliano si confrontano fedi diverse, vi ha parlato il Dalai Lama, si pratica l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Si riesce ad intravvedere come la religione cattolica possa ancora parlare un linguaggio comprensibile alla gente motivata da una fede coerente con il vangelo di Gesù.
Don Pierluigi si lamenta della sostanziale indifferenza con cui la Chiesa ufficiale di Udine tolleri la sua attività di testimone credibile del messaggio evangelico. Ma per chi, come noi, vive in una diocesi dove non c’è nessun dibattito, nessuna iniziativa e luogo d’incontro per rivedere criticamente la presenza della Chiesa nella società, è una bella speranza poter guardare a un faro ad est, nella direzione di Aquileia, come è il Centro Balducci e il suo animatore, don Pierluigi Di Piazza, profeta della pace e della nonviolenza, fuori dagli schemi del potere clericale.

Lucio Eicher Clere (Lo spirito di Gioele)

giovedì 23 settembre 2010

Da san Pio da Petrelcina a san Albino da Forno di Canale

(lo spirito di Gioele)

Oggi è ricordata dalla massa di suoi devoti la morte di padre Pio, al secolo Francesco Forgione, proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 2002. In verità non la chiamano morte, bensì “transito”, come quello della Madonna, quasi a far credere che anche la fine del ciclo biologico per quell’uomo paranormale sia stata eccezionale. Attorno alla figura di Padre Pio si concentra il retaggio medioevale e superstizioso della religione cristiana. Oggi a San Giovanni Rotondo faranno la “traslazione” definitiva delle spoglie mortali, ricoperte da una maschera di silicone, per essere poste in bella vista al passaggio di milioni di pellegrini impetranti grazie. Di quest’uomo era cominciato il mercato delle reliquie ancora da vivo. Si è sentito anche in queste settimane parlare, con macrabo schifo, di garze impregnate di sangue delle ferite delle stigmate.
E’ amaro constatare che questa religione è l’unica che riesce ancora a suscitare interesse e radunare folle credule. Sembra non sia cambiato nulla dalla religione dei venditori di reliquie, messa in ridicolo da Boccaccio, quando si spacciavano per autentiche le ampolle del “latte della Madonna” o i peli del bue e dell’asino della grotta di Betlemme. E le masse di pellegrini si spostano verso Lourdes, Medjugorie, ma ancora a Padova da Sant’Antonio, non tanto perché li spinga il dsiderio di imitazione della fede di Maria di Nazareth o dei santi, bensì per la segreta speranza di ottenere miracoli. E la Chiesa cattolica, anziché fare tutto il possibile per cancellare questi retaggi di medioevo superstizioso, portandosi in dimensione ecumenica a fianco delle Chiese evangeliche, incentiva, come appunto a San Giovanni Rotondo, questo mercato del miracolismo. Dov’è la parola di Paolo ai cristiani di Corinto? “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocefisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”(Icor 1,22-23).
Anche nella diocesi di Belluno-Feltre si va alla ricerca di miracoli per poter affrettare l’iter della beatificazione di Albino Luciani, papa Giovanni Paolo I per poco più di un mese. Egli che nella vita era stato un normale funzionario di carriera della struttura clericale, poiché ha concluso il suo cursus honorum sulla Cattedra di Pietro, secondo molti fautori dello “status” di santità insito nel ruolo di papa, dovrebbe essere proclamato santo. Anche se non ha fatto nulla di eccezionale nei suoi anni di sacerdozio tranquillo dal seminario di Belluno ai palazzi del Vaticano. Anzi, per i suoi più convinti sostenitori dell’elevazione agli altari, proprio per questo. Ma allora, ci chiediamo, se è lecito proclamare santi tutti i “normali” preti, che diventano, monsignori, vescovi, cardinali e poi, per un caso di un mese, papi, a cosa serve andare in cerca di miracoli e miracolati per dimostrare che sono taumaturgici?  La Chiesa di Belluno Feltre ha una grande voglia di santi. Nell’ultima celebrazione della elezione a papa di Luciani, tenutasi lo scorso fine  agosto a Canale d’Agordo, il vescovo Giuseppe Anrich ha annunciato ufficialmente la nomina di un sacerdote responsabile delle cause dei santi bellunesi. Don Giacomo Mazzorana, oltre che dei santi dipinti nelle chiese, come responsabile dell’arte sacra, dovrà anche occuparsi dai accelerare la santificazione di alcuni  “servi di Dio” in attesa di visibilità sugli altari locali.
E’ triste constatare che in una comunità ecclesiale sempre più ignara di cristianesimo e di vangelo si cerchi la santità, magari per avere qualche visita turistica religiosa in più.

Lucio Eicher Clere. (lo spirito di Gioele)

mercoledì 22 settembre 2010

lo Spirito di Gioele


In una comunità ecclesiale chiusa e diretta dall’alto, stantia e rassegnata al declino, come appare quella di Belluno-Feltre, sarebbe auspicabile e opportuno che si discutesse e si confrontassero idee su come seguire l’insegnamento di Gesù Cristo in questa società materialista ed egoista, su come liberare l’insegnamento religioso e la pratica pastorale dagli schemi del passato, che nessuno capisce e segue più. Avevo provato a lanciare qualche parola, negli scorsi decenni, nel mar morto del conformismo ecclesiale di questa diocesi, che a 45 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II non ha avuto la ventura di avere un prete controcorrente e libero di parole e di giudizi. Preti come ne ha avuti la diocesi di Udine, quella di Gorizia, di Treviso, di Vicenza e di tante altre parti d’Italia. Speravo che qualcuno, tra i cosiddetti laici e magari qualche giovane teologo che frequentava le facoltà di Roma o di altre località, riuscisse a riprendere e magari ampliare e migliorare le analisi, le istanze, le critiche, che io, ma anche tanti altri cristiani “poco fedeli”, sentivano come urgenza di fedeltà al vangelo e al superamento dei ritardi e delle contraddizioni del messaggio cattolico rispetto all’intelligenza ed alla vita delle persone di oggi.
Ho studiato teologia negli anni Settanta, nell’aria nuova che era arrivata anche a Belluno dopo le aperture conciliari. Ero tra i più preparati e nel contempo critici studenti del quadriennio. Mi auguravo che il clima di discussione e di ricerca senza paura di essere eretici passasse dalla scuola teologica alla vita pastorale, infondendo nella parrocchie quell’entusiasmo partecipativo che aveva fatto balenare la crescita di un laicato libero e responsabile. La normalizzazione che iniziò con la ripresa del controllo della Curia romana sul papa Paolo VI, si impose a Belluno con il ventennio episcopale di Maffeo Ducoli. Ho vissuto assieme a tanti cristiani critici lo spegnersi di quelle scintille degli anni postconciliari, ma senza voler rassegnarmi al silenzio. Per questo, ogni volta che sono riuscito a trovare lo spazio di un organo di informazione libero, in questa provincia dove la libertà di critica religiosa sembra negata su tutti i media, ho provato a scrivere riflessioni fuori dal coro conformistico, spesso suscitando reazioni indispettite, il più delle volte commenti di sopportazione, “sempre il solito rompiballe!”.
Non mi è passata la voglia di scrivere e comunicare liberi pensieri critici sulla comunità ecclesiale di cui mi sento parte, sulla fede cristiana, al cui dono mi sento inadeguato e infedele, e mi è sembrato opportuno utilizzare lo spazio del web, dove si possono inviare e scambiarsi messaggi senza censure, per ridare voce allo spirito di Gioele. Quel piccolo profeta che scriveva cercando di infondere speranza nel popolo abbattuto e disperato: “…io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie…”. Mi piacerebbe che questo blog fosse uno spazio di confronto su un modo diverso di credere e vivere la fede cristiana rispetto all’ufficialità clericale. Io ci scriverò quando ci sarà qualche spunto interiore o esteriore. Fatelo anche qualcuno di voi.
Lucio Eicher Clere