venerdì 30 settembre 2011

Generale Angelo Bagnasco, corregga le sue abitudini e stili di vita!


Dopo anni di connivente silenzio riguardo alle abitudini ed allo stile di vita del capo del Governo italiano, Silvio Berlusconi, buon ultimo, dopo la diffusa condanna internazionale, è arrivato anche il richiamo del presidente dei vescovi italiani, nonché generale di Corpo d’armata in pensione dell’esercito italiano, Angelo Bagnasco. Non che si sia lanciato in duri anatemi, come hanno sempre fatto i suoi predecessori dei secoli passati contro peccatori ed eretici, scatenando i quaresimalisti  a raccontare le pene dell’inferno che li avrebbero puniti. No, la gerarchia cattolica italiana usa sempre il linguaggio felpato e generico della diplomazia vaticana, abituata a parlare il linguaggio del potere e della convenienza. In tutti gli anni dello scempio berlusconiano, che ha ridotto la società italiana come ormai è inevitabile constatare, i dirigenti ecclesiastici non hanno mai parlato contro quel personaggio che ha favorito e praticato l’illegalità e ogni deriva morale, anzi hanno esplicitamente sostenuto il suo partito e le sue promesse da mercante, in cambio dei privilegi e dei favori.
Ora il presidente della Cei fa esplicito riferimento ai comportamenti dei politici invitandoli a “correggere abitudini e stili di vita”. Meglio tardi che mai. Ma purtroppo risuonano vuote le sue parole, perché sembrano dette quando tutto ormai è finito e si avvicina un cambiamento di partiti e persone nella politica italiana. Quasi una prenotazione a ricevere favori dai prossimi governanti.
Quanto sarebbe opportuno, invece, che le parole dei vescovi fossero coerenti con il loro stile di vita e con quello della Chiesa che essi dirigono. Comportamenti e stili di vita in questa situazione di crisi internazionale, dove la povertà e l’immigrazione giungono in occidente con ondate di profughi, ma le difficoltà si fanno sentire anche in tante famiglie del Nord del mondo, comporterebbero gesti di coerenza evangelica, come la rinuncia ai privilegi delle agevolazioni fiscali per le attività e gli edifici di proprietà del Vaticano e della varie diocesi; come il volontario rifiuto di quella quota dell’otto per mille prelevato anche dai redditi di chi non firma per la Chiesa cattolica; come l’abolizione di ogni spreco e sfarzo nei viaggi papali, tutta forma esteriore e nessuna sostanza di cambiamento. Perché il vescovo di Roma, quando esprime “dolore e condivisione” (ci mancherebbe che esprimesse gioia e indifferenza!) per le tragedie e la sofferenza dei poveri nel Sud del mondo è una campana stonata? Andasse per qualche settimana in Somalia, a condividere con i cristiani che patiscono la carestia in quel martoriato paese, vivendo nelle condizioni in cui alloggiano, mangiano, lavorano i missionari o i sacerdoti locali, organizzando in loco i soccorsi e sensibilizzando da lì le coscienze dei cristiani europei e americani, allora sì le sue parole risuonerebbero convincenti, perché legate ai gesti concreti. Le parole dei gerarchi cattolici invece non hanno riscontro, perché dette da incoerenti. Come fa il cardinale-generale Bagnasco a richiamare i politici a “correggere gli stili di vita”, quando lui è stato parte organica dell’esercito italiano, ordinario castrense, parificato in grado e in stipendio ad un generale di Corpo d’Armata? Cambiare stile di vita per lui e le decine di preti-servi dell’istituzione di morte che è l’esercito, vorrebbe dire cancellare l’abominio di una presenza dei rappresentanti della Chiesa di Gesù Cristo dentro alle caserme, nei luoghi dove ci si prepara alla guerra, all’assassinio programmato di uomini, donne e bambini; vorrebbe dire la rinuncia allo stipendio da parte del Ministero della Difesa e la proclamazione dell’incompatibilità fra appartenenza alla comunità cristiana e la professione di soldato; la cancellazione di quella criminale eresia che è il Seminario maggiore dell’Ordinariato militare in Italia, in cui dei giovani possono prepararsi a servire l’esercito in nome di Dio come cappellani militari. Lo farà mai il cardinale-generale Bagnasco? Le probabilità che egli “corregga le sue abitudini e stili di vita” è la stessa che si può attribuire a Berlusconi. Infatti sono fatti della stessa pasta del potere.
Lucio Eicher Clere

domenica 11 settembre 2011

Non celebro l’ 11 settembre

 

L’attentato alle torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 è ricordato nel decennale come fosse stato una svolta epocale della storia contemporanea. Rievocazioni, testimonianze, immagini, palinsesti radiofonici e televisivi dedicati per giorni solo a questa vicenda. Pochi rimarcano l’esagerazione e la stortura di questo modo di commemorare un episodio sì grave, ma non certo diverso dai tanti che sono accaduti ed accadono in questo pianeta dove l’uomo usa la violenza contro i suoi simili e  l’ecosistema che lo ospita. New York è una città di qualche milione di abitanti, i morti per decesso naturale o per violenza sono sicuramente centinaia al giorno, e in quella mattina di settembre di dieci anni fa la quantità dei morti è risultata maggiore per un fatto eccezionale, come per un terremoto e per un uragano. Il senso del limite e della eccezionalità dell’evento dovrebbe contestualizzarlo in modo logico come uno dei tanti eventi dolorosi della storia umana. Come è stato, per esempio, la tragedia di Longarone nel 1963, dove in pochi minuti sono morte oltre 2000 persone ed un intero paese è stato cancellato dalla forza dell’acqua caduta dalla diga del Vaiont. Fatte le debite proporzioni, tra l’irrisoria percentuale dei morti delle torri gemelle, rispetto alla popolazione della città statunitense, e la totalità degli abitanti di Longarone, come dovrebbe essere celebrato e ricordato quell’evento in Italia e nel mondo? Purtroppo in occidente siamo trascinati nella lettura delle vicende con lo sguardo americano e siamo portati a valutare ogni fatto con la distorsione che il sistema mediatico della superpotenza economica ha imposto.
Se devo ricordare quell’episodio di dieci anni fa, la mia indignazione e lo scandalo che provo ancora di fronte alla retorica enfatica del dolore per l’evento vanno nei confronti dei capi della potenza statunitense, alla loro reazione istintiva e violenta, alle guerre scatenate in Afganistan e Iraq contro popoli che nulla avevano a che fare con la scelta distruttrice e odiosamente spettacolare di alcuni terroristi di un movimento sovranazionale come è Al Qaeda.
Non celebro l’11 settembre e registro un fastidio mentale che mi porta a tenere spente radio e televisione, a saltare in blocco paginate di quotidiani e settimanali, perché penso che quell’attentato sia stato un esempio mitologico di come i popoli ricchi possono stravolgere i fatti storici e reagire con l’istinto della violenza, allo stesso modo come reagì Polifemo nell’episodio dell’Odissea, quando, prigionieri nella caverna, Ulisse ed i suoi lo accecarono e poi riuscirono a fuggire sotto la pancia delle pecore. Il ciclope uscì e urlando cominciò a lanciare sassi in mare, come il suo omologo contemporaneo, Polifemo-Busch, provvide a scatenare l’inferno delle bombe contro le città ed i paesi dell’Afganistan e dell’Iraq.
Questo è il ricordo che celebro, l’ennesima dimostrazione occidentale dell’assurdità della guerra, della reazione più violenta contro una provocazione violenta. E mi domando cosa abbia insegnato il cristianesimo in duemila anni di presenza nella storia dell’umanità. Il messaggio di amore, di nonviolenza, di fratellanza universale, anche di amore per i nemici, che Gesù ha predicato e insegnato ai suoi discepoli ed avrebbe dovuto essere la caratteristica distintiva della comunità dei credenti che nel suo nome sono diventati Chiesa, sono stati dimenticati e stravolti nei secoli di unione tra altare e spada, tra potere religioso e politico-militare, che hanno segnanto la storia e la cultura dell’Occidente cosiddetto cristiano.
Come credente in Gesù e nel Dio dell’amore vorrei che le Chiese che a lui si richiamano non si accodino alla retorica massmediatica delle celebrazioni per l’attentato di New York, ma levino alta la voce contro la violenza delle guerre scatenate da Bush e dai suoi generali, che ancora, a dieci anni di distanza, insanguinano quelle popolazioni innocenti. Vorrei che, a nome della religione cristiana, almeno i dirigenti delle Chiese abbiano il coraggio di chiedere perdono per i morti, le distruzioni, la privazione di futuro, che le guerre immotivate dei ciclopi moderni hanno provocato nei paesi del Medio Oriente. Vorrei che si dicesse ad alta voce che i potenti delle armi sono fuori dalla comunità cristiana, che essi rappresentano la legge dell’odio, che è il contrario di quello che Gesù è venuto a portare agli uomini, vittima egli stesso dell’odio e della violenza.
E invece dovrò rassegnarmi a sentire il generale di Corpo d’armata in pensione con i soldi dell’Esercito Italiano, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana esprimere il sentito cordoglio per le vittime, condannare il terrorismo, comprendere il diritto degli Stati Uniti a difendersi, così come ha fatto centinaia di volte benedicendo i soldati in armi e definendo eroi i morti ammazzati in finte missioni di pace, quando in realtà sono invasori armati su territori altrui.

Lucio Eicher Clere