mercoledì 20 settembre 2017

Gregorio XVI, un papa di cui bellunesi e carnici devono vergognarsi




A Belluno si ricorda papa Gregorio XVI, quasi fosse un grande personaggio della storia della Chiesa, e si cerca di confondere la memoria di quanti conoscono vagamente chi sia stato, in un periodo storico critico e denso di istanze rinnovatrici nella società e nella Chiesa stessa, quel tal Bartolomeo Alberto Cappellari nei suoi 16 anni di pontificato.
Ora, nessuno si stupisce se a Predappio si ricorda e magari si ossequia Benito Mussolini, dittatore e guerrafondaio, o se a Pallanza si celebra il generale assassino Luigi Cadorna. Ognuno ha i paesani che la storia consegna. Ma far credere che quei personaggi siano figure da riscoprire e di cui vantarsi sarebbe davvero intollerabile.
Invece a Belluno si dedicano ciclicamente giornate di rievocazione del personaggio Gregorio XVI, si mettono in mostra paramenti e suppellettili quasi fossero reliquie, si esibiscono monete e medaglie commemorative, volendo dimenticare chi sia stato veramente quel papa in quel periodo storico.
I Cappellari erano una famiglia proveniente dalla Carnia, da Prato Carnico in Val Pesarina, che si stabilì a Belluno per lavoro artigianale. Bartolomeo Alberto nacque in quel di Bolzano bellunese nel 1765 e a 18 anni intraprese la vita monastica tra i camaldolesi. Della sua vita precedente all’elezione papale poco ci importa, anche se le giornate di rievocazione di Belluno hanno proposto una conferenza dal titolo “L’affabilissimo Cappellari. Gregorio XVI nelle carte d’archivio di Camaldoli”. Quello che importa invece è sapere cosa ha fatto da papa, da quando venne eletto nel 1831 fino a quando morì nel 1846.
Senza voler giudicare a posteriori la storia, è difficile trovare qualcosa di positivo nei 16 anni di pontificato del papa carnico-bellunese.  Egli è stato il papa dell’enciclica “Mirari vos”, nella quale condannò non solo il razionalismo, il gallicanesimo e l’indifferentismo, ma anche la libertà di coscienza, definita “pestilentissimo errore”.  Era contrario alla libertà di stampa e d’opinione, che considerava egualmente pericolosa per la Chiesa e per lo Stato. L’ipotesi che da questo tipo di libertà, potesse derivare una qualche utilità per la religione, venne respinta come “somma impudenza”, senza dare ulteriori spiegazioni.
Reazionario, chiuso ad ogni novità, persino alle scoperte scientifiche e mediche, impose l’assoluto divieto di ogni libertà di azione e di pensiero che non fosse conforme ai dettami della “Santa Madre Chiesa”, con gravi minacce costrinse gli ebrei a non esercitare alcuna attività al di fuori del ghetto. Fu contrario alla ferrovia ed all’illuminazione a gas, perché non voleva che con queste innovazioni si potesse facilitare l’infiltrazione di idee liberali. Durante gli anni del suo pontificato sostenne i regnanti totalitari, complimentandosi con loro per la repressione violenta delle ribellioni popolari che in quegli anni avvenivano un po’ dovunque in Europa. Nei suoi anni al potere dello Stato pontificio furono eseguite oltre un centinaio di condanne a morte, alcune ricordate anche per la futilità delle motivazioni, come quella inflitta a Giuseppe Balzani, fatto decapitare il 14 maggio 1833 per avere offeso il papa, o quella di Luigi Scopino, fatto decapitare il 21 luglio 1840 per avere rubato oggetti sacri.
Di un papa paesano di tal fatta dovrebbero vergognarsi i carnici ed i bellunesi e stendere sulla sua memoria un velo di triste oblio, non cercare di mistificare la sua vicenda di potere, anche solo per un modesto ritorno di immagine per qualche maniaco rievocatore.
Nell’elenco dei papi successori di Pietro figurano due bellunesi. Ma se Luciani non è passato alla storia per l’esiguità dei giorni di permanenza in vita da papa, Gregorio XVI risulta iscritto tra i peggiori papi degli ultimi secoli. E se per Luciani gli agordini fremono perché sia proclamato santo, anche senza alcun merito se non l’aver fatto carriera ecclesiastica fino al soglio pontificio, non vorremmo che da Bolzano bellunese partisse la richiesta di santificare anche Cappellari. Magari con la motivazione che, bontà sua, era contrario alla schiavitù.
Lucio Eicher Clere