giovedì 7 febbraio 2019

Il macabro Movimento per la Vita



Da oltre un trentennio nel mese di febbraio segnala la sua presenza in ambito ecclesiale e nella società il Movimento per la Vita, una associazione nata dopo l’approvazione della legge 194, la cosiddetta “legge dell’aborto”, che contiene norme sulla tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza. Formato da cattolici integralisti, cioè persone che hanno una visione rigida e intransigente dei principi derivanti dalla dottrina clericale e la vorrebbero imporre anche a chi cattolico non è e non condivide la concezione religiosa e la sua invadenza nell’etica pubblica, il Movimento per la vita ritorna con maniacalità sul “crimine”, dell’aborto con il moralismo colpevolizzante nei confronti delle donne che, proprio a seguito della legge 194, hanno avuto la possibilità di decidere di interrompere una gravidanza non accettata.  A parlare contro le vite non nate sono soprattutto maschi, siano essi preti o laici più clericali del clero, che pretendono di dare lezioni alle donne, nel cui corpo la vita di nuovi esseri umani si incarna e si sviluppa, e solo loro avrebbero il diritto di esprimere e raccontare la gioia di una gravidanza o il dramma di una scelta di abortire.
Il dibattito culturale, ma anche religioso, che si è articolato attorno al problema dell’aborto dovrebbe far riflettere sulla complessità dell’argomento, sia dal punto di vista scientifico, sia soprattutto dal punto di vista umano, con i risvolti psicologici, individuali e familiari, che accompagnano le donne che decidono in piena coscienza e libertà di fare quella scelta. E quindi evitare le semplificazioni, nel rispetto e nell’astensione dai giudizi e dall’attribuzione di colpevolezza.
E invece i soloni del Movimento per la Vita si ergono a giudicatori delle scelte fatte delle donne, quantificando i numeri degli aborti e delle mancate nascite che impoveriscono la società. Uno di questi cattolici accusatori nella diocesi di Belluno, Giulio Bianchi, esprime con ipocrita rincrescimento le mancate nascite dovute agli aborti. “Le bambine e i bambini non nati – predica il clericolaico- mancano a genitori, nonni, fratelli e a noi tutti. Ci mancano quelli abortiti spontaneamente, ci mancano con più grande sofferenza morale quelli che non hanno visto la luce a causa dell’interruzione volontaria della gravidanza”.
E questo padreterno di periferia ecclesiastica si spinge anche a valutare la ricaduta sociale di quelle scelte di donne, ognuna con la sua storia e la sua pena, che hanno privato lui e i suoi sodali di poter vedere una “città di 18.550 abitanti”, corrispondenti al numero degli aborti censiti negli ospedali della provincia di Belluno nei 40 anni in cui vige la normativa delle legge 194. Personaggi come Bianchi hanno la pretesa di estendere i loro convincimenti rigoristi, legati al catechismo, anche a chi è lontano dalla morale cattolica, sottintendendo che lo Stato non avrebbe dovuto approvare una legge che ammette l’assassinio di un piccolo essere umano.
Attribuire a questi che si arrogano il diritto di essere i difensori della vita nascente una importanza superiore a quella che hanno nei fatti, anche all’interno della stessa prassi pastorale delle comunità ecclesiali, è sbagliato. Ma segnalare che la loro annuale emersione di febbraio per condannare le donne che interrompono la gravidanza, il loro insistere sui numeri dei “mai nati” che ha sempre sullo sfondo il macabro riferimento ai feti, non è condivisa da tanti credenti, mi sembra importante e doveroso, alla luce del messaggio evangelico ribadito dai continui richiami alla misericordia da parte di papa Francesco.
A Giulio Bianchi e quelli come lui ricordo l’episodio raccontato dal vangelo di Giovanni. Di fronte ai giudicatori, con in mano le pietre della condanna, Gesù richiama tutti alle proprie responsabilità e al rispetto. E alla donna dice: “ Nessuno ti ha condannata?".  Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno”. (Gv. 8, 10-11).

Lucio Eicher Clere