Nella società dell’immagine e delle notizie eccentriche da incorniciare su giornali e programmi televisivi, capita che nel paese di Santo Stefano di Cadore si abbia l’attenzione mediatica nazionale per fatti e persone che in altre località sarebbero passate nel silenzio della normalità. Protagonisti di articoli e programmi televisivi tre ragazze, che hanno contratto matrimonio civile con tre africani, giunti lo scorso anno assieme alle migliaia di profughi dalla Libia, e il parroco dello stesso paese, che regala 500 euro a tutti i nuovi nati, sia figli di maritati in chiesa che di conviventi.
Se viste dal lato della originalità mediatica, entrambe le notizie suscitano curiosità ed attenzione, ma volendo approfondire gli argomenti ed i protagonisti, è giusto rimarcare la grande differenza di contenuto e di significato cristiano tra i due comportamenti.
Quel parroco, che si prende meriti e vanagloria mediatica per una azione comune ad altri enti limitrofi, come Comuni e Regole, che tentano di incentivare la ripresa demografica in paesi inesorabilmente destinati all’estinzione, ritiene, bontà sua, che i bambini siano tutti uguali, senza distinzione tra battezzati e non, tra bianchi e neri, tra figli di sposati o conviventi. Ben arrivato, reverendo, dopo secoli di discriminazioni eretiche tra bambini morti col battesimo e spediti in paradiso, e altri senza, cacciati nel cosiddetto “Limbo (una sorta di inferno nebbioso)” per l’eternità. Ben arrivato, dopo secoli di “extra ecclesia nulla salus” e di “anathema sit” proclamati contro chi non si adeguava ai dettami di “Santa Romana Chiesa”.
Ma sarebbe il minimo pretender la giusta coerenza da questi preti esibizionisti, che sfruttano le occasioni di normale attività parrocchiale per mettersi in mostra e magari ottenere qualche promozione. Come si comporta il reverendo di Santo Stefano con le persone divorziate, che vorrebbero accostarsi ai sacramenti? Anche verso questi usa il metodo della non discriminazione?
Come si è comportato quando sono arrivati i profughi dall’Africa e avevano bisogno di un alloggio per essere ospitati per diversi mesi? Ha egli forse messo a disposizione le canoniche e le case vuote delle parrocchie del Comelico per questa emergenza umanitaria? E quando la canea razzista dei suoi parrocchiani, molti dei quali vanno in pellegrinaggio a piedi con lui al santuario di Maria Luggau, si esprimeva con linguaggio sprezzante e denigratorio nei confronti dei neri e di chi si prodigava per loro, ha forse il reverendo preso posizione, difendendo i deboli e condannando gli atteggiamenti anticristiani dei suoi “fedeli”? Per questo tipo di preti viene spontaneo rileggere le parole di Gesù, al capitolo 6, versetto 1, del vangelo di Matteo: “Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli”.
La scelta delle tre ragazze di sposare civilmente tre profughi africani rientra invece in quei grandi gesti di altruismo disinteressato, che rendono bella l’umanità e mettono in pratica gli insegnamenti di Gesù, al di là del fatto che siano compiuti da credenti o atei. Chi ha seguito le vicende legate all’arrivo dei profughi dalla Libia tra le montagne del Comelico, la dedizione di tanti volontari per farli sentire ben accolti in una comunità, la resistenza aperta e coraggiosa contro la volontà di respingimento che caratterizzava adulti e giovani (tanto che su facebook si leggevano espressioni come “i negri gettiamoli nel Piave”), la gioia di aprirsi a culture diverse e scoprire la possibilità dell’innamoramento, l’integrazione cercata in attività e lavori in paese, sa che l’esito di una convivenza e di una apertura all’amore senza pregiudizi è stato l’esito felice e accettato con il carico di incognite di un cammino di alcuni mesi davvero ricco e sorprendente. Ma la scelta delle ragazze di sposarsi civilmente, con un contratto che estende la loro dignità ed i loro diritti di cittadine italiane a tre ragazzi senza permesso, senza speranza di integrazione, senza prospettive di sicurezza per il futuro, è un gesto di altruismo disinteressato che va oltre l’ammirazione e le pone come esempio di vera “carità cristiana”. Molti benpensanti, pur se cattoloici e aperti di idee, hanno giudicato rischioso e irresponsabile il matrimonio tra persone di razza e cultura diversa. Avrebbero consigliato la convivenza, finchè dura. Come ormai si ragiona per qualsiasi coppia di figli nostrani. Invece le tre ragazze hanno donato i loro privilegi dentro a un contratto civile che non offre loro nulla in cambio, privilegiando l’amore alla tranquillità.
Se dovessi scegliere tra quale dei due episodi di cronaca definire come autenticamente cristiano, non avrei dubbi nello scegliere il matrimonio civile e non l’esibizionismo opportunista della carità pretesca.
Lucio Eicher Clere
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