venerdì 27 aprile 2012

Don Tamis, l’anti Luciani



Ricordo di don Ferdinando Tamis a cent’anni dalla nascita. Ricordo di pomeriggi e serate in una stanza piena di libri e documenti, dove negli ultimi anni della sua vita era stato ospitato nel Seminario di Belluno, dopo aver passato la giovinezza e la maturità ai margini, senza alcun incarico ecclesiale, fatta eccezione per l’insegnamento della religione alle scuole Medie della città. Ricordo della accoglienza affettuosa e del sorriso riconoscente verso quegli studenti che ascoltavano i suoi racconti di storia locale, le conoscenze degli archivi curiali fino ai documenti più dimenticati, i tentativi di trasmettere la passione per la ricerca e il metodo di comparazione tra la microstoria e quella scritta negli annali.
Leggendo le cronache delle cerimonie celebrative del centenario nella sua Agordo, dove giustamente gli è stata dedicata la sala della Comunità montana, istituzione che don Tamis aveva concepito e sostenuto con la sua visione comprensoriale della storia dell’Agordino, avrei pensato di trovare una parola di scusa o una richiesta di perdono pronunciata dal vescovo Giuseppe Andrich nei confronti di questo sacerdote, per le sofferenze procurategli dalla gerarchia diocesana negli anni in cui decise e attuò la sua emarginazione. E invece il canalino Andrich,  compaesano di Albino Luciani, ha seguito il classico atteggiamento ipocrita del potere, che onora e addita ad esempio dopo morti coloro che in vita ha distrutto moralmente e volutamente impedito che potessero trasmettere il loro insegnamento.
Don Ferdinando ci raccontava quando, fresco di studi giuridici fatti a Roma, era tornato a Belluno ed aveva iniziato ad insegnare diritto nei corsi di teologia. Gli studenti erano entusiasti di lui, del suo metodo, probabilmente anche perché il vecchio professore che egli aveva sostituito faceva morire di noia. Alla fine di qualche lezione lo avevano perfino applaudito. Un ingresso nel gruppo degli insegnanti di teologia che aveva dato una grande scossa di novità e di competenza. Tanto da preoccupare l’allora vicerettore del seminario, anche lui di ritorno dagli studi a Roma, il conterraneo agordino Albino Luciani. Don Tamis ci rivelava l’invidia e l’ostilità che Luciani provava nei suoi confronti e l’azione da lui messa in atto per screditarlo e metterlo in cattiva luce nei confronti dei colleghi e della dirigenza curiale. Che don Tamis non fosse un millantatore, quando raccontava i suoi successi di professore in teologia, ne avevamo prova da vari preti che in quegli anni erano stati suoi alunni. Tutti lo ricordavano con ammirazione, non sapendosi spiegare perché fosse stato allontanato e costretto in un ruolo umiliante di cappellano di una famiglia di pseudo nobiltà provinciale. Don Tamis seppe esprimere le sue doti in altri contesti e fu apprezzato come studioso e storico anche senza l’imprimatur della Curia di Belluno.
Nei nostri anni di frequentazione con lui, il suo persecutore Albino Luciani era stato nominato patriarca di Venezia e poi cardinale. Una grande cerimonia in cattedrale, con la messa presieduta dal neo patriarca, e poi un pranzo in Seminario avevano festeggiato l’evento in terra bellunese. Don Tamis, che non aveva mai perdonato il rivale, così abile nel fare carriera dentro all’istituzione cattolica, inghiottì il boccone amaro. E noi, con crudele senso di provocazione, una sera in cui ci raccontava di avere in un cassetto un dossier “delle malefatte di Luciani”, quando era il Vicario generale della diocesi di Belluno, gli prospettammo l’ipotesi che potesse diventare papa. “No, sai, lo Spirito Santo non lo permetterà”, ci rispose scuotendo la testa con il suo tipico sorriso. Quando Albino Luciani, dopo 33 giorni di papato, morì, mi ricordai di quella frase, in un certo senso profetica, di don Ferdinando.
Chissà che fine avrà fatto quella cartella con i documenti relativi alle “malefatte” di Albino Luciani, che, non ho dubbi, don Tamis avesse custodito con cura. La “mano lesta” dei curiali avrà fatto pulizia e bruciato ogni carta che possa macchiare la memoria del futuro “san Giovanni Paolo I”. Ma non fosse altro che per risarcimento alla memoria di un perseguitato ed emarginato prete di grande valore, come è stato don Ferdinando Tamis, la causa di beatificazione di Luciani dovrebbe fermarsi e riposare in pace.
Lucio Eicher Clere

2 commenti:

  1. http://www.fisicamente.net/SCI_FED/index-1069.htm basta questo per far capire ciao

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  2. COME DON TAMIS MI RIAVVICINO' ALLA RELIGIONE...

    La sua frase abituale più celebre era “ti siluro!” rivolta ai ragazzini delle medie; di generazione in generazione la leggenda veniva tramandata e verificata. Pronunciava la “f” al posto della “s”, e tutti la citavano così. Per i significati reconditi, non occorre scomodare Freud. Veramente quando l’ho avuto per insegnante, in terza media, nell’anno scolastico 1959-60, non la diceva più, forse qualcuno lo aveva dissuaso.
    Un giorno, entrato in classe dopo la ricreazione, aveva trovato sulla lavagna la frase “Liberté, Egalité, Fraternité”, scritta a grandi caratteri da un mio compagno. Accecato dal furore, si era messo a sbraitare: “Questa è una frase rivoluzionaria!”.

    A tredici anni ero già ateo convinto, ci avevo pensato molto e avevo tirato le mie conclusioni. Nessuno, da allora, è più riuscito a riavvicinarmi alla fede. Solo Don Tamis, prodigiosamente, riuscì ad ottenere una specie di successo. Parziale, paradossale e rovescio.
    Da coerente ateo anticlericale qual’ero, avevo costellato il libro di testo di religione con frasi e disegni blasfemi, senza calcolare i rischi. Che si concretizzarono quando feci l’imprudenza di tenerlo aperto sul banco durante la lezione di religione. Ho ancora ben presente la scena. Un compagno lo vede, lo prende, e il libro comincia a girare di banco in banco, finché qualcuno non riesce a trattenere una risata soffocata. Don Tamis sussulta. Come un falco, si getta sulla preda. Comincia a leggerlo, il suo volto si trasfigura. Allora avevo già, purtroppo, l’abitudine di scrivere il mio nome sulla prima pagina di ogni mio libro. Qui il ricordo si offusca, mi ritrovo davanti al preside. Che si mette a leggere con tono grave le mie frasi sul libro. Inspiegabilmente, non le trova divertenti. Vado a casa con due giorni di sospensione, e tutto sembra finire lì.
    In Giugno escono gli scrutini. Mentre li leggo sul tabellone all’ingresso della scuola, sento una mano afferrarmi un braccio. Stringe forte, trema, le unghie si conficcano nella pelle. Mi volto, è lui. Livido in volto, tremante di furore, mi guarda in un modo che la parola “odio” non può bastare a rendere.
    “Voglio che tu sappia che in consiglio dei professori ho chiesto che ti fosse dato il sette in condotta” (che comportava essere rimandato in tutte le materie e praticamente bocciato). “Non mi è stato concesso, ma io VOGLIO CHE TU LO SAPPIA!”.
    Prima di conoscere Don Tamis non credevo né all’esistenza di Dio né a quella del Diavolo. Dopo, ho continuato a non credere all’esistenza di Dio.
    Ma quanto a quell’altro….
    Bepi Tissi

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