martedì 21 dicembre 2010

Le parole vuote del vescovo Andrich e quelle piene dei preti della "Lettera di Natale"

Sempre di più le parole della fede hanno bisogno di comportamenti coerenti  per essere comprese e soprattutto divenire credibili. Quanto vuote sono la gran parte delle “prediche”, delle conferenze, delle esortazioni , del fluire continuo dalle bocche di professionisti della religione, se non trovano riscontro nell’agire dei retori vaniloquenti?  Il vescovo di Belluno-Feltre, Giuseppe Andrich, nella ricorrenza di San Martino, patrono della diocesi, ha predicato in cattedrale, come fa sempre e nessuno lo ricorda, vista la banalità delle cose che ripete. Non varrebbe certo la pena fermarsi su qualche sua frase, ma poiché “Avvenire”, il quotidiano della Cei, ne ha riportato un paio, in un servizio giornalistico del giorno dopo, queste offrono il pretesto per capire la vacuità del parlare di certi prelati e la contraddizione con i loro comportamenti. Dice Andrich: “La secolarizzazione, anche dentro la vita della Chiesa produce, nei nostri paesi di tradizione cristiana, la crescita di alberi e zone boscose di paganesimo e di idolatria”. Il vescovo di Belluno non si accorge che quella che egli chiama “secolarizzazione”, come processo esterno alla Chiesa, in realtà è lo stile a cui lui per primo si è adeguato nel quieto vivere di Seminario e Curia, nel mantenimento della struttura clericale sempre più obsoleta rispetto alla vita delle persone, nell’ ignorare per comodità la radicalità della sequela di Gesù, tenendo di più ai privilegi e al potere che non alla libera condivisione della precarietà e della povertà. Ma dove il monsignore rivela la sua vacua ipocrisia è in un altro passaggio del citato discorso: “Quando siamo oggetto di forti e rabbiose contestazioni per posizioni che sono secondo ragione, prima di essere conformi alla nostra fede, sentiamo che si verifica quello che Gesù dice “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Tu, Giuseppe Andrich, un perseguitato? Tu, che vivi in una provincia dove l’informazione è quasi totalmente in tuo possesso, attraverso televisione, radio, settimanale più letto, bollettini parrocchiali, e due quotidiani che usano nei tuoi confronti solo la piaggeria e l’incensazione e mai una riga di critica, tu saresti un perseguitato? Forse per capire cosa significa questa parola dovresti chiederlo ai preti che hai emarginato e confinato in mansioni inutili, incurante e insensibile ai loro drammi, dopo averli mandati avanti nei corsi di teologia quand’eri  rettore del seminario e raccattavi “oves et boves”, pur di ingrossare numericamente la misera casta del clero bellunese. O forse dovresti chiederlo a quel professore di religione, accusato ingiustamente di furto, anche a causa del tuo complice silenzio,  che ha dovuto subire l’umiliazione di tutte le udienze processuali per arrivare ad una sentenza che lo ha assolto “perché il fatto non sussiste”? E le comunità cristiane abbandonate, malservite o rovinate da presenze sacerdotali dannose?  Le parole del vescovo Andrich sono vuote e falsificate dai suoi comportamenti.
Parole piene invece sono quelle che possiamo leggere nella “lettera di Natale”, che alcuni preti friulani diffondono pubblicamente, scrivendo di fede, di tematiche sociali, di vita cristiana vissuta in coerenza con il vangelo, che essi testimoniano con le loro scelte comportamentali. Per loro fare il prete non è mettersi i paramenti e celebrare messe e liturgie sempre più vuote di senso, ma tentare di mettere in pratica le parole di Gesù nel modo più fedele possibile. Si coglie la verità quando scrivono:  “Gesù ci dice dove Dio si rivela e sta: in mezzo, coinvolto, partecipe, non lontano. E così chiama anche noi a stare in mezzo, schierati con le persone povere e sofferenti, senza nessun segno distintivo, abito particolare, titolo onorifico, ma con l’unico segno della nostra umanità disponibile”.  Si sente la tensione verso una Chiesa diversa e fedele al suo fondatore. “L’attenzione di Gesù verso le donne è straordinaria e rivoluzionaria in quel contesto sociale e religioso. Per la Chiesa questi incontri dovrebbero stimolare una autentica valorizzazione della differenza di genere e favorire la presenza delle donne, la possibilità di svolgere diversi ministeri, come avviene nelle Chiese Evangeliche.” Il Gesù che essi  raccontano, più che predicare, è quello contro il potere e il denaro, quello che proclama beati i nonviolenti, per cui “la produzione e il commercio delle armi, la giustificazione delle guerre, i cappellani militari, i funerali religiosi di Stato in cui le parole dei celebranti sono scandalosamente simili a quelle dei Ministri della Difesa, lo stanziamento di quasi un miliardo di euro per gli armamenti, le armi atomiche custodite nella base Usaf di Aviano, ci appaiono come ripetute ferite al vangelo della pace”. Per questi ministri della Chiesa cattolica il crocefisso non è un simbolo da esibire come identificazione etnico-culturale. “Tristezza e sdegno ci investono per come viene usato strumentalmente da una religione etnicizzata, per contrastare e attaccare persone diverse per cultura e fede religiosa. Gesù Crocefisso, che ha dato la vita per gli altri, viene volgarmente utilizzato per negare la vita di altri”.
Le parole di questi cristiani, in servizio nelle comunità come preti, riescono a riempire la fede svuotata dai “falsiloqui” di un vescovo.
Lucio Eicher Clere

martedì 14 dicembre 2010

I pochi nostalgici del Concilio Vaticano II



Un convegno sul Concilio Vaticano II, a 45 anni dalla sua conclusione, ha riproposto nel Centro Balducci di Zugliano le emozioni e le grandi speranze di quegli anni attraverso i ricordi e le valutazioni sempre attualizzate di Raniero La Valle, intellettuale cattolico lucido e appassionato. Eravamo in pochi ad aver risposto all’invito di don Pierluigi Di Piazza a riflettere su quell’evento concepito da Giovanni XXIII e realizzato dalla maggioranza dei vescovi progressisti, contro l’oscurantismo della Curia vaticana. Pochi e attempati. Nessun giovane, qualche quarantenne, a dimostrazione che il Vaticano II è stato un episodio circoscritto e purtroppo reso inefficace nella sostanza dal revisionismo a cui l’hanno sottoposto i dubbi di Paolo VI e il conservatorismo di Giovanni Paolo II e dell’attuale Benedetto XVI. E’ stato commovente riscoprire nella generazione che quel Concilio l’ha vissuto da giovane la nostalgia per una “Chiesa altra”, per un ritorno di fedeltà alla parola di Gesù, e l’illusoria speranza che quella “rivoluzione” inziata a metà degli anni Sessanta possa riproporsi e continuare ancora oggi. Il lento e costante rinnegamento delle affermazioni conciliari sul primato del popolo di Dio rispetto alla gerarchia (Lumen Gentium),
il cammino a fianco degli uomini (Gaudium et Spes), le aperture ecumeniche (Unitatis redintegratio), l’attenzione verso mussulmani ed ebrei (Nostra aetate), ha avuto l’effetto di circoscrivere le novità del Vaticano II a pochi aspetti esteriori, come la liturgia in lingua moderna anziché in latino, e qualche parvenza di democrazia nelle diocesi e parrocchie e nei nuovi movimenti ecclesiali. Altro si sarebbero aspettati i partecipanti al convegno del Centro Balducci, molti dei quali continuano a operare nella responsabilità di cristiani motivati dentro alle strutture ecclesiali. La vera rivoluzione conciliare avrebbe dovuto cambiare la Chiesa cattolica soprattutto nei suoi legami di potere e di ricchezza, nella democrazia interna, dove ci si riconosca per doni e ministeri da mettere a servizio della comunità e non dalle fasce rosse e dai cappelli di anacronistiche e ridicole fogge, nel ruolo delle donne ad ogni livello di responsabilità, nella libera ricerca teologica, nella formulazione delle verità di fede con linguaggio contemporaneo. Molti non disperano e continuano a vivere dal basso le applicazioni della rivoluzione conciliare. Lo hanno fatto le comunità di base sparse in tutti i continenti; lo fanno molti preti e vescovi, che ignorano il loro incarico di potere, mettendo le proprie doti a servizio della comunità che presiedono, valorizzando alla pari tutti gli altri fratelli e sorelle di fede; lo fanno anche molti cristiani senza chiesa, che si sentono alla sequela di Gesù in ricerca ed in fraternità con i credenti di tutte le religioni che cercano il Dio dell’Amore. In questo senso il Concilio Vaticano II si sta ancora attuando e lo Spirito prosegue la sua opera di rinnovamento delle comunità cristiane incrostate da
strutture di privilegio, di falsità e di potere. La certezza che i pochi nostalgici del Vaticano II devono avere è che quell’evento resterà irrepetibile, se si spera che la rivoluzione avvenga ancora con decisioni prese dall’alto. La gerarchia si è dimostrata, e forse lo è per essenza, irreformabile. L’esempio più netto è la figura di Ratzinger, teologo di belle speranze, collega di Hans Kung nella stagione del rinnovamento conciliare, poi integrato nella struttura gerarchica e diventato custode della conservazione e stroncatore di teologi liberi nella ricerca e contestatori del dogmatismo.
Non serve avere nostalgia del Vaticano II. Oggi un analogo consesso episcopale non avrebbe alcun riscontro nella vita della Chiesa. Ha provveduto la mentalità scientifica e l’amoralità capitalistica a rendere vuote e insignificanti le parole sia del tradizionalismo clericale, sia del finto progressismo di tanti preti giovanilisti, anche dentro alle folle frequentanti le chiese e i santuari. Se le intuizioni e i semi del Vaticano II potranno fruttificare, ciò sarà possibile solo con la coerenza tra parola e vita nelle piccole comunità e nella prassi fraterna e antigerarchica di quei preti e quei vescovi che, anziché il potere, scelgono il servizio degli ultimi e la libertà di pensiero e di parola come ha insegnato Gesù.
Lucio Eicher Clere