sabato 13 settembre 2014

Un vescovo banal-popolare




Che l’episcopato di Giuseppe Andrich ai vertici della diocesi di Belluno-Feltre trascorresse “sanza infamia e sanza lodo” era facile profetizzarlo fin dal giorno in cui si diffuse la notizia che, a sostituire Vincenzo Savio, era stato nominato il suo vicario generale, che lo aveva supplito negli ultimi mesi di malattia. A farlo prevedere era il curriculum del soggetto, entrato nella bambagia del seminario fin da piccolo e rimastoci, con qualche uscita attorno al campanile del duomo di Belluno, fino al Centro Giovanni XXII di Piazza Piloni, fino a tutt’oggi. Una carriera ecclesiastica sulle orme del compaesano Albino Luciani, che però dopo la nomina a vescovo di Vittorio Veneto, ebbe ancora un altro avanzamento professionale come patriarca di Venezia, fino all’elezione a papa, 264esimo successore di Pietro. Chissà che, visto che basta salire i vertici gerarchici nelle Chiesa cattolica per avere titoli per essere proclamati santi, non accada anche a Andrich di essere proposto almeno per la venerabilità, quando (“anco tardi a venir”) concluderà il suo percorso terreno…Scherziamo coi fanti, ovviamente. Anzi con gli alpini. Perché una delle passioni di questo vescovo, visto che tra i tanti privilegi avuti in giovinezza ebbe anche quello di essere esentato dal servizio militare, è quella di mettersi il cappello d’alpino e cantare canzoni di naja e di montagna. Memorabile(si fa per dire…) la conclusione della manifestazione per la difesa della provincia, tenutasi senza alcun risultato nel 2012, quando dai microfoni del palco in piazza duomo intonò “varda la luna come la cammina…senza alpini come farò!”. 
Quando fu eletto vescovo nel 2004, molti confratelli ebbero lo stesso pensiero di quell’uomo di Comelico Superiore che, quando gli facevano osservare che aveva sposato una donna brutta, rispondeva rassegnato: “Par cà da nei fa e vanza”, certi che la scossa e le speranze del breve episcopato di Savio non si sarebbero ripetute. Infatti il sinodo diocesano, convocato dal predecessore e portato a conclusione da lui, non produsse altro che un libro di belle (si fa per dire…) parole senza alcun cambiamento nella prassi diocesana e nel lento e inesorabile declino della vita religiosa tra le vallate del Piave, del Maè, del Cordevole. Il decennio andrichiano ha continuato  nel grigiore di un clero sempre più vecchio, senza ricambi, con pochi giovani preti disorientati e molti di loro in crisi per la scelta celibataria. Né si poteva pensare che un funzionario ligio alle leggi canoniche potesse nemmeno pensare in privato ciò che tutti i cristiani feltrini e bellunesi hanno pensato quando don Giulio Antoniol decise di lasciare la tonaca perché si era innamorato di una donna, e cioè che è tempo ormai passato che la Chiesa abolisca l’assurda e anacronistica imposizione del celibato obbligatorio per i preti, salvando così il servizio ministeriale di persone preparate e motivate, che potrebbero svolgere il loro ruolo di parroci anche con famiglia, come da secoli fanno egregiamente i pastori e le pastore evangeliche. Mai nel decennio andrichiano si è vista la Chiesa locale prendere posizione sulle questioni calde, come l’immigrazione così osteggiata dai benpensanti bellunesi, mettendo a disposizione dei profughi le decine di canoniche vuote.
Il vescovo di Canale d’Agordo (paese di carriere gerarchiche!), ha preferito adeguarsi al livello banal-popolare che contraddistingue la gran parte dei personaggi (si fa per dire…) che hanno assunto ruoli dirigenziali in questo lembo marginale di terra dolomitica. Nella trascorsa estate, forse anche complice l’avvicinarsi della scadenza del mandato episcopale (compirà 75 anni il prossimo marzo 2015), Giuseppe Andrich ha dato spettacolo di questa banalità in varie occasioni. Ricordiamo l’improbabile karaoke alla festa degli ex emigranti a Vigo di Cadore. Così pure la sceneggiata del tirare una vecchia sega, inconsapevole o indifferente alle battute maliziose che tale gesto inevitabilmente avrebbe comportato, alla festa degli antichi mestieri a Danta di Cadore. E sempre in ridicola gara di presenzialismo con un ex politico provinciale, presidente scaduto e scadente (participio presente del verbo scadere…), ma sempre col culo caldo alla ricerca di qualche sedia, anche rotta, su cui sedersi per scaldarla.
Dopo questo decennio di episcopato, la diocesi di Belluno-Feltre non avrà nulla da rimpiangere, solamente da sperare che il prossimo vescovo non prosegua le orme banal-popolari di quello attuale.
Lucio Eicher Clere

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