Che l’episcopato
di Giuseppe Andrich ai vertici della
diocesi di Belluno-Feltre trascorresse “sanza infamia e sanza lodo” era facile
profetizzarlo fin dal giorno in cui si diffuse la notizia che, a sostituire
Vincenzo Savio, era stato nominato il suo vicario generale, che lo aveva
supplito negli ultimi mesi di malattia. A farlo prevedere era il curriculum del
soggetto, entrato nella bambagia del seminario fin da piccolo e rimastoci, con
qualche uscita attorno al campanile del duomo di Belluno, fino al Centro
Giovanni XXII di Piazza Piloni, fino a tutt’oggi. Una carriera ecclesiastica
sulle orme del compaesano Albino Luciani, che però dopo la nomina a vescovo di
Vittorio Veneto, ebbe ancora un altro avanzamento professionale come patriarca
di Venezia, fino all’elezione a papa, 264esimo successore di Pietro. Chissà che,
visto che basta salire i vertici gerarchici nelle Chiesa cattolica per avere
titoli per essere proclamati santi, non accada anche a Andrich di essere
proposto almeno per la venerabilità, quando (“anco tardi a venir”) concluderà
il suo percorso terreno…Scherziamo coi fanti, ovviamente. Anzi con gli alpini. Perché
una delle passioni di questo vescovo, visto che tra i tanti privilegi avuti in
giovinezza ebbe anche quello di essere esentato dal servizio militare, è quella
di mettersi il cappello d’alpino e cantare canzoni di naja e di montagna.
Memorabile(si fa per dire…) la conclusione della manifestazione per la difesa
della provincia, tenutasi senza alcun risultato nel 2012, quando dai microfoni
del palco in piazza duomo intonò “varda la luna come la cammina…senza alpini
come farò!”.
Quando fu
eletto vescovo nel 2004, molti confratelli ebbero lo stesso pensiero di quell’uomo
di Comelico Superiore che, quando gli facevano osservare che aveva sposato una
donna brutta, rispondeva rassegnato: “Par cà da nei fa e vanza”, certi che la
scossa e le speranze del breve episcopato di Savio non si sarebbero ripetute.
Infatti il sinodo diocesano, convocato dal predecessore e portato a conclusione
da lui, non produsse altro che un libro di belle (si fa per dire…) parole senza
alcun cambiamento nella prassi diocesana e nel lento e inesorabile declino
della vita religiosa tra le vallate del Piave, del Maè, del Cordevole. Il
decennio andrichiano ha continuato nel
grigiore di un clero sempre più vecchio, senza ricambi, con pochi giovani preti
disorientati e molti di loro in crisi per la scelta celibataria. Né si poteva
pensare che un funzionario ligio alle leggi canoniche potesse nemmeno pensare
in privato ciò che tutti i cristiani feltrini e bellunesi hanno pensato quando
don Giulio Antoniol decise di lasciare la tonaca perché si era innamorato di
una donna, e cioè che è tempo ormai passato che la Chiesa abolisca l’assurda e
anacronistica imposizione del celibato obbligatorio per i preti, salvando così
il servizio ministeriale di persone preparate e motivate, che potrebbero
svolgere il loro ruolo di parroci anche con famiglia, come da secoli fanno
egregiamente i pastori e le pastore evangeliche. Mai nel decennio andrichiano
si è vista la Chiesa locale prendere posizione sulle questioni calde, come l’immigrazione
così osteggiata dai benpensanti bellunesi, mettendo a disposizione dei profughi
le decine di canoniche vuote.
Il vescovo
di Canale d’Agordo (paese di carriere gerarchiche!), ha preferito adeguarsi al
livello banal-popolare che contraddistingue la gran parte dei personaggi (si fa
per dire…) che hanno assunto ruoli dirigenziali in questo lembo marginale di
terra dolomitica. Nella trascorsa estate, forse anche complice l’avvicinarsi
della scadenza del mandato episcopale (compirà 75 anni il prossimo marzo 2015),
Giuseppe Andrich ha dato spettacolo di questa banalità in varie occasioni.
Ricordiamo l’improbabile karaoke alla festa degli ex emigranti a Vigo di
Cadore. Così pure la sceneggiata del tirare una vecchia sega, inconsapevole o
indifferente alle battute maliziose che tale gesto inevitabilmente avrebbe
comportato, alla festa degli antichi mestieri a Danta di Cadore. E sempre in
ridicola gara di presenzialismo con un ex politico provinciale, presidente
scaduto e scadente (participio presente del verbo scadere…), ma sempre col culo
caldo alla ricerca di qualche sedia, anche rotta, su cui sedersi per scaldarla.
Dopo questo
decennio di episcopato, la diocesi di Belluno-Feltre non avrà nulla da
rimpiangere, solamente da sperare che il prossimo vescovo non prosegua le orme banal-popolari
di quello attuale.
Lucio Eicher
Clere
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