Sono
risuonate potentemente le parole di Papa Francesco nella celebrazione per il
centenario dell’inizio della maledetta guerra, che durò cinque anni, dal 1914
al 1918. “La guerra è una follia – ha detto Bergoglio-mentre Dio porta
avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare
alla sua opera, la guerra distrugge, anche ciò che Dio ha creato di più bello,
l’essere umano. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la
distruzione”. Parole che avrebbero dovuto recepire quelle migliaia di militari
presenti sulla spianata davanti a quel retorico monumento, chiamato “Sacrario”,
che è stato costruito per esaltare “l’eroismo e la dedizione alla Patria” delle
migliaia di vittime della follia di capi di stato e generali che li hanno
mandati al massacro.
Sappiamo che un capo di stato, qual è ancora il pontefice
romano, non può esimersi dal partecipare a incontri ufficiali, dove tutto è
preordinato, e la contraddizione e l’ipocrisia sono impossibili da eliminare.
Ma proprio per la personalità forte e controcorrente di questo Papa, ci saremmo
aspettati qualche gesto simbolico che ponesse i professionisti della violenza,
quali sono i militari, di fronte alla storia criminale che li precede, e l’
incompatibilità della professione di soldati con l’appartenenza alla religione
di Gesù Cristo. Lo avevano chiesto alcuni preti friulani, testimoni veri della
fedeltà al vangelo più che non alla gerarchia ecclesiastica, quelli che da anni
scrivono la “lettera di Natale” dove esprimono riflessioni profonde e libere
sulla Chiesa e la società, in una lettera aperta inviata a Papa Francesco.
“Ci dispiace
–scrivono don Pierluigi Di Piazza e altri dieci colleghi- che le Diocesi delle
nostre regioni siano state coinvolte esclusivamente come distributrici di
“biglietti”, per la partecipazione ufficiale di pochi alla celebrazione. Tutti
attendevano con ansia e intenso desiderio una tua visita in occasione del
Centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale che ovunque, ma in
particolare nelle nostre terre, ha seminato morte, distruzione e avvelenato
quasi fino a oggi le relazioni tra i popoli e le nazioni che vivono in questo
lembo d’Europa. Ma l’organizzazione dell’Ordinariato Militare ha
sostanzialmente reso impossibile non solo l’indispensabile preparazione, ma
perfino la stessa presenza all’evento”.
Ecco, un primo gesto che Francesco avrebbe
potuto fare in quest’occasione di condanna delle guerre, era la proclamazione
ufficiale dell’abolizione dell’Ordinariato militare, dei vescovi castrensi e dei cappellani militari, tutte figure della
gerarchia stipendiate dal Ministero della Difesa. La Chiesa che si ispira a Gesù
Cristo ha partecipato per secoli alla violenza armata degli eserciti,
benedicendo armi sull’uno e l’altro fronte, con la presenza a sostegno dei
soldati pronti all’assassinio dei nemici di preti in divisa, che celebravano
messa, distribuivano particole e benedicevano con acqua santa gli assalti all’arma
bianca. Condannare questi errori, eliminando il legame tra Chiesa e esercito,
togliendo l’incarico agli anacronistici residuati vescovi castrensi e
cappellani militari e assegnandoli all’accoglienza dei profughi sulle spiagge
della Sicilia, sarebbe stato un segnale molto esplicito per la ribadita scelta
della nonviolenza che Papa Francesco predica e pratica nella sua azione
pastorale.
Significativa
la scelta del Papa di visitare il cimitero dei soldati austriaci e ungheresi,
ribadendo l’unica verità dell’uguaglianza delle vittime della follia bellica.
Ma una sua autorevole parola di condanna della parola “sacrario”, desunta dalla
terminologia religiosa (“sacro” infatti è ritenuto da sempre ciò che appartiene
alla religione ed alla spiritualità) avrebbe fatto vergognare quanti hanno
continuato ad avallare la retorica mussoliniana di esaltazione della vittoria,
trasformando un cimitero di vittime in un pantheon di eroi. Quello di Redipuglia
non è un “sacrario”, bensì un grande insulto alle vittime della maledetta
guerra.
Ciò che è
mancato ancora nel discorso del Papa a Redipuglia è stato il ricordo dei veri
eroi di quel periodo, cioè i giovani che si sono rifiutati di imbracciare un
fucile e ammazzare altri uomini. Sempre i preti friulani scrivevano nella
lettera al Papa: “L’individuazione delle diverse cause e delle chiare
responsabilità lascia infatti sempre aperta la grande questione del perché
l’essere umano sia così facilmente disponibile alla violenza, alla guerra,
all’uso delle armi, perché accetti gli ordini assurdi e disumani e non esprima
l’obiezione di coscienza agli ordini che provocano morti, feriti, distruzioni.
Migliaia e migliaia di soldati sono stati processati e uccisi, anche sul Carso,
perché si sono rifiutati di obbedire a comandi contro l’umanità: sono stati a
lungo bollati come vigliacchi e disertori, per noi sono profetici testimoni di
umanità e di pace; meritano di essere esplicitamente ricordati nella
celebrazione della memoria!”.
Attendiamo da
Papa Francesco sempre maggiore coraggio nell’affermare e praticare nella Chiesa
la coerenza del messaggio non violento di Gesù.
Lucio Eicher
Clere