Costalta è
un nome esplicito, paese radicato sul pendio del monte Zovo, con gli occhi
delle case a sud, per ricevere tutta la luce del sole, che l’orizzonte gli
concede. Appartenervi è condizione famigliare oppure scelta ragionata. Domenico
Di Stefano, montanaro d’Abruzzo, era arrivato a Costalta casualmente, cercando
una occasione di acquisto di una casa nelle Dolomiti. Una casa non rifinita,
perché per lui, che aveva appreso le tecniche di muratura, ma anche di
idraulica ed di elettricistica nella
costruzione della sua casa a Lavinio, sarebbe stato importante metterci mano e
renderla funzionale all’abitabilità condivisa.
Non è stato un turista, come i tanti che comprano la seconda casa in
montagna; Domenico è entrato da subito nella comunità, conoscendo le persone,
rendendosi disponibile all’organizzazione sociale e parrocchiale, contribuendo
in ogni occasione a superare eventuali problemi o difficoltà.
Montanaro di
spirito, egli si sentiva a proprio agio nel paese che considerava ormai suo. Ne
conosceva le stradine, i sentieri più adatti a raggiungere la vetta dello Zovo,
dove amava spaziare con lo sguardo e far salire dal cuore alle labbra lodi di
ringraziamento al creatore per aver deliziato la mente dell’uomo con la
bellezza e l’armonia delle forme e dei colori che decorano i paesaggi montani.
Una appartenenza dell’animo, che sapeva comunicare ai tanti amici della
pianura, che negli anni sono saliti, magari ospiti in quella mansarda
trasformata in spazio ricettivo e
accogliente, con soppalchi in legno, balaustre sopraelevate, dove disporre una
branda per consentire una o due notti di pernottamento e respiro fresco
dall’afa estiva della riviera del Brenta. Diversi amici di Domenico hanno
acquistato casa a Costalta, contribuendo a formare una piccola comunità di
ospiti che ben si integrano nella comunità degli originari. Domenico aveva la
capacità di dialogare e farsi capire anche dalle persone che nei paesi hanno la
tendenza a contrapporsi a chi viene da fuori. Stemperava i contrasti, cercava i
compromessi, se c’era il caso rinunciava a qualcosa pur di superare gli
ostacoli.
Anche quando
la malvagità di alcuni abietti, raccolta e rilanciata con una denuncia penale
da parte del sindaco di San Pietro e dal maresciallo dei carabinieri di Santo
Stefano, che lo avevano accusato di tentato furto di corrente elettrica, perché
aveva aperto una scatola elettrica sul palo della corrente pubblica, per
staccare un filo penzolante, che era pericoloso per le persone che andavano a
messa nella cappellina attigua alla sacrestia, poteva portarlo a chiudere ogni
relazione umana con questi calunniatori, Domenico non si ribellò
all’ingiustizia e affrontò con fiducia il processo penale. Sei udienze che lo
prostrarono fisicamente, ma che alla fine dimostrarono con evidenza, cioè con
la formula “il fatto non sussiste”, che l’azione era stata fatta a fin di bene.
E’ possibile che quel piccolo calvario
sia stato tra le cause che hanno minato il suo fisico, ma il suo animo era
uscito indomabile anche da quella brutta esperienza. Come una roccia, Domenico
sfidava il vento delle avversità e riusciva con poche parole a comunicare
fiducia e riportare serenità dove poteva esserci cupezza e astiosità.
I molti
paesani che erano diventati suoi amici contavano in una sua presenza più
continuativa dopo che era andato in pensione. Progetti e voglia di lavorare per
un rilancio dell’attività parrocchiale, spenta ormai da anni, non mancavano di
intessere gli incontri intorno a un tavolo, assaporando le sue minestre di
fagioli, o le sue pizze cotte nella stube, o le camminate sui sentieri dove
negli anni Ottanta era passato anche Karol Wojtyla, il papa amante della
montagna, che Domenico, Gabriella e le figlie ebbero la fortuna di incontrare
in un pomeriggio scendendo da Monte Zovo. Resterà il rimpianto di aver dovuto
subire lo strappo della sua morte troppo presto, troppo inaspettatamente.
Domenico
diceva che avrebbe voluto essere sepolto nel cimitero di Costalta, per poter
guardare le Terze, che ammirava dalle finestre della sua casa. Non importa se i
suoi resti diventeranno terra altrove. Tra il monte Zovo, le Terze, il Peralba
e il Popera volteggia nel vento la sua anima di luce e d’amore.
Lucio Eicher
Clere
Interessantissimo ma scusi. Sig Lucio, chi è quel Sindaco, mi scusi la frase di un (scemo incompetente) che si comporta in una maniera cosi scorretta nei confronti di un bellissimo Popolo ladino, come il vostro, lo trovo veramente Disgustoso ! Forse per la privacy è meglio che non faccia nomi. Poi mi consenta dire, non è che abbia fatto nulla di grave il sig.Domenico, penso che lo avrebbe fatto chiunque. bè la saluto ed ora che ho scoperto il suo bellissimo, Blog, lo seguirò sempre cordiali saluti e complimenti ancora.
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