sabato 16 aprile 2011

La Chiesa che ha smarrito la natura profetica

Ho ricevuto da Samuele De Bettin la riflessione che segue e la pubblico volentieri su Lospiritodigioele.

Il 3 settembre 2000 la Chiesa cattolica decise di additare ad esempio di virtù cristiane uno dei papi più popolari e venerati di sempre: Giovanni XXIII. Il ricordo ancora vivo del suo breve ma intenso pontificato, ridestato dalle frequenti repliche televisive dei suoi discorsi, hanno completamente oscurato il fatto che, lo stesso giorno, un altro romano pontefice veniva elevato all’onore degli altari: Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti. All’epoca la cosa mi era subito apparsa un incredibile esercizio di equilibrismo teologico-politico, al limite del grottesco! Vaticano II e Vaticano I in un fraterno abbraccio, Pacem in Terris e Sillabo, Mater et Magistra e non expedit, il papa buono e il papa re, le carezze ai bambini e le pallottole ai garibaldini. Tutto e il contrario di tutto. Supremo esercizio di relativismo teologico! Il papa che leggeva i segni dei tempi con gaudium et spes, frenato dal papa che, come la moglie di Lot, guardava indietro all’anacronistico potere temporale, le aperture alla collegialità conciliare stemperate dall’infallibilità del papa; il principio di non contraddizione mandato in soffitta, il trionfo dell’antitesi, dell’antilogia, dell’ossimoro: Protagora in gloria! Più verosimilmente la vittoria della chiesa della paura, della chiesa di Pietro prima del canto del gallo. Paura del nuovo, paura della profezia. Appare evidente come dietro a queste scelte vi siano precisi disegni di politica ecclesiastica: affidiamo pure alla venerazione popolare quel discolo di Roncalli, che ha spinto sull’acceleratore delle riforme, ma gli affianchiamo il volto arcigno di Mastai Ferretti, che saprà contenerne l’esuberanza con qualche scappellotto restauratore.
Credo proprio che il punto sia questo. Sottolineare il valore della santità, oltre a presentare una lunga serie di contraddizioni evidenti, ha portato la Chiesa a smarrire il valore e il significato della profezia. Se concediamo (sic!) che Giovanni XXIII e Pio IX siano entrambi beati, non possiamo certo dire che sono stati entrambi profeti. Non è certo possibile liquidare semplicisticamente il millenario culto dei santi, sovente così importante nella pietà popolare, ma questo non ci può esimere dalla denuncia dell’idolatria e della superstizione che questa prassi ha portato con sé. Il pontificato di Giovanni Paolo II, il papa che nella storia ha proclamato più beati e santi di chiunque altro, ha accentuato questo fenomeno. È noto come il culto dei santi e la dottrina delle indulgenze ad esso collegato sia uno dei maggiori ostacoli sulla via dell’ecumenismo. Appare molto difficile far capire ai protestanti il senso del lungo e complesso iter canonico della beatificazione, l’applicazione dei principi del diritto romano alle questioni escatologiche, la burocratizzazione dell’aldilà, fino alla contabilizzazione del miracolo, conditio sine qua non della Santità. Francamente trovo difficile farlo capire al comune buon senso. “Beati coloro che, pur non avendo visto, crederanno”: ritengo che una chiesa che ha bisogno di segni tangibili, ancorché soprannaturali, sia una chiesa che, come Tommaso Apostolo, si fida poco dei fratelli, in ultima istanza si fida poco anche di Dio. In tutto ciò che ne è della profezia? Come mai di una beatificazione di Don Lorenzo Milani o di un Mons. Romero non c’è traccia? L’aver costretto l’intero apparato educativo italiano a rivedere le proprie posizioni o morire da martire per i propri fedeli non sono virtù da additare ad esempio? È proprio così grave essere degli spiriti liberi?
Una chiesa che timorosa si guarda indietro alla ricerca di sicurezze fondate su una strana alchimia di dogma fideistico e certezza scientifica, è destinata a trasformarsi in una statua di sale. Non credo che sia compito della chiesa essere ragionevole. Dire che lo Stato italiano non può accogliere tutti gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste può essere sensato e ragionevole, ma per questo abbiamo i politici, i tecnici del governo e della protezione civile, abbiamo il dibattito democratico e l’opinione pubblica. Ricordare che l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione non ammettono calcoli, sarà insensato, sarà irragionevole, ma sarà cristiano, sarà profetico. Respingere chi non rientra nella fattispecie giuridica del rifugiato per motivi politici sarà forse necessario, ma non può certo essere considerato cristiano. Fa parte semmai dei limiti della nostra natura umana, del nostro essere peccatori ed egoisti, della nostra incapacità di applicare fino in fondo il Vangelo, dell’incapacità di essere pienamente cristiani. Una chiesa che ha smarrito la propria natura profetica si limita ad essere una voce tra le altre, le sue istanze possono essere più o meno condivisibili e proprio per questo umane, troppo umane.
Rimandare a casa i cinquemila che si sono radunati per ascoltare le parole di Gesù è sicuramente ragionevole, hanno fame, i cinque pani e i due pesci a disposizione degli Apostoli non possono certo sfamarli: “Date voi stessi a loro da mangiare” è l’assurda, insensata, folle parola del profeta. La ragionevolezza umana avrebbe affamato quelle cinquemila persone, le parole del profeta hanno raccolto dodici ceste di avanzi.

Samuele De Bettin

domenica 10 aprile 2011

Vescovi, sui profughi dite qualcosa di cristiano


Nel Nordest leghista, pasciuto, egoista, fintocattolico, l’arrivo di qualche centinaio di profughi del Nord Africa è visto come un pericolo e un attentato alla sicurezza ed alla tranquillità delle città e dei paesi. L’appello di un sindaco, nel cui paese c’è una vecchia caserma dismessa, di aprire le stanze di questo stabile per dare ospitalità ai profughi, ha scatenato la reazione ostile di gran parte dei suoi cittadini, anche dei ragazzi che, con l’insegnante di religione, hanno espresso la soddisfazione di aver reagito con forza contro quella provocazione. Richiesto di un parere in merito, il direttore della Caritas della diocesi non solo non ha accolto e sostenuto l’idea del sindaco “rara avis”, ma, da buon tecnocrate della distribuzione, ha criticato la proposta sostenendo che il compito dei sindaci è dare assistenza ai propri cittadini e non creare allarmismo nella popolazione. E lo stesso burocrate dei bisognosi, sulla possibilità di aprire canoniche chiuse e case  per ferie della diocesi per ospitare i fuggiaschi dalla guerra e dalla fame, obiettava che in questo periodo i villaggi turistici della diocesi sono ormai prenotati dalle persone per le vacanze estive e quindi non si possono stravolgere i programmi. Ma, come lui, nella ricca Chiesa del Nordest, quella che si sta preparando per l’arrivo del papa, con mega assemblee e messa-spettacolo al parco di san Giuliano di Venezia, non si è levata alcuna voce di apertura e disponibilità all’accoglienza dei profughi, a cominciare dal patriarca Scola fino a giungere ai monsignori delle foranie periferiche. Ci si sarebbe aspettati che la Chiesa, che pure è in prima fila in tante situazioni di povertà, di sofferenza, di violenza, in tanti luoghi del mondo, dove la parola di Gesù si incarna in modo autentico, avesse alzato una voce forte e profetica contro i tatticismi e le ostilità che hanno caratterizzato la politica e le scelte del governo italiano nei confronti della crisi nordafricana. Invece né una presa di posizione netta contro lo scatenamento della guerra in Libia, dove gli aerei italiani bombardano e ammazzano persone inermi; né una condanna ferma del cinismo di un partito di governo, che attraverso le parole del suo capo ha rozzamente espresso il suo profondo sentire: “Föra di ball”; neppure un chiaro e dettagliato programma di ospitalità nei tanti edifici vuoti o a mezzo servizio di proprietà delle diocesi, delle parrocchie, degli enti religiosi (gran parte dei quali esentati dal pagamento dell’Ici), per gruppi o famiglie di scampati dalle zone di guerra e disperazione.
Ancora una volta emerge chiaramente la preoccupazione della gerarchia italiana, e in particolare del Nordest, acquiescente verso il potere leghista, di non apparire ostile nei confronti della destra berlusconiana, dalla quale si possono ottenere vantaggi e conservare i privilegi.
Come sarebbe confortante per chi legge il vangelo e ancora si sente toccato dalle parole di Gesù nel discorso della montagna e nel brano del giudizio finale del capitolo 25 di Matteo, o ascolta come dette a lui le parole del profeta Osea: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os. 11,4), sentire dai responsabili delle comunità cristiane parole profetiche di condanna per i cinici che vorrebbero rimandare indietro gli emigranti che “arrivano con scarpe e indumenti firmati” (Luca Zaia, presidente della Regione Veneto) e di solidarietà per gli ultimi e rigettati; come sarebbe incoraggiante sentir predicare “qualcosa di cristiano”, anziché parole ripetitive e senza contenuti, perché vaganti nell’etere, anziché incarnate nella vita delle persone e nelle scelte coerenti con il vangelo. Nelle settimane in cui si consuma il dramma di centinaia di poveri e derubati di speranza, che si ammassano su insicuri barconi e muoiono nel mare di Sicilia, i cattolici del Nordest e i loro vescovi si stanno preparando all’inutile trionfalismo di una visita di papa Ratzinger. Non sarebbe inopportuno che meditassero sulle parole dell’Angelo alla Chiesa di Pergamo, capitolo 2 dell’Apocalisse.
Lucio Eicher Clere