Da oltre un
trentennio nel mese di febbraio segnala la sua presenza in ambito ecclesiale e
nella società il Movimento per la Vita, una associazione nata dopo l’approvazione
della legge 194, la cosiddetta “legge dell’aborto”, che contiene norme sulla tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria
della gravidanza. Formato da cattolici integralisti, cioè persone che hanno una
visione rigida e intransigente dei principi derivanti dalla dottrina clericale
e la vorrebbero imporre anche a chi cattolico non è e non condivide la
concezione religiosa e la sua invadenza nell’etica pubblica, il Movimento per
la vita ritorna con maniacalità sul “crimine”, dell’aborto con il moralismo
colpevolizzante nei confronti delle donne che, proprio a seguito della legge
194, hanno avuto la possibilità di decidere di interrompere una gravidanza non
accettata. A parlare contro le vite non
nate sono soprattutto maschi, siano essi preti o laici più clericali del clero,
che pretendono di dare lezioni alle donne, nel cui corpo la vita di nuovi
esseri umani si incarna e si sviluppa, e solo loro avrebbero il diritto di
esprimere e raccontare la gioia di una gravidanza o il dramma di una scelta di
abortire.
Il dibattito culturale, ma anche religioso, che si è articolato
attorno al problema dell’aborto dovrebbe far riflettere sulla complessità dell’argomento,
sia dal punto di vista scientifico, sia soprattutto dal punto di vista umano,
con i risvolti psicologici, individuali e familiari, che accompagnano le donne
che decidono in piena coscienza e libertà di fare quella scelta. E quindi
evitare le semplificazioni, nel rispetto e nell’astensione dai giudizi e dall’attribuzione
di colpevolezza.
E invece i soloni del Movimento per la Vita si ergono a
giudicatori delle scelte fatte delle donne, quantificando i numeri degli aborti
e delle mancate nascite che impoveriscono la società. Uno di questi cattolici
accusatori nella diocesi di Belluno, Giulio Bianchi, esprime con ipocrita
rincrescimento le mancate nascite dovute agli aborti. “Le bambine e i bambini
non nati – predica il clericolaico- mancano a genitori, nonni, fratelli e a noi
tutti. Ci mancano quelli abortiti spontaneamente, ci mancano con più grande
sofferenza morale quelli che non hanno visto la luce a causa dell’interruzione
volontaria della gravidanza”.
E questo padreterno di periferia ecclesiastica si spinge anche a
valutare la ricaduta sociale di quelle scelte di donne, ognuna con la sua
storia e la sua pena, che hanno privato lui e i suoi sodali di poter vedere una
“città di 18.550 abitanti”, corrispondenti al numero degli aborti censiti negli
ospedali della provincia di Belluno nei 40 anni in cui vige la normativa delle
legge 194. Personaggi come Bianchi hanno la pretesa di estendere i loro
convincimenti rigoristi, legati al catechismo, anche a chi è lontano dalla
morale cattolica, sottintendendo che lo Stato non avrebbe dovuto approvare una
legge che ammette l’assassinio di un piccolo essere umano.
Attribuire a questi che si arrogano il diritto di essere i
difensori della vita nascente una importanza superiore a quella che hanno nei
fatti, anche all’interno della stessa prassi pastorale delle comunità
ecclesiali, è sbagliato. Ma segnalare che la loro annuale emersione di febbraio
per condannare le donne che interrompono la gravidanza, il loro insistere sui
numeri dei “mai nati” che ha sempre sullo sfondo il macabro riferimento ai feti,
non è condivisa da tanti credenti, mi sembra importante e doveroso, alla luce
del messaggio evangelico ribadito dai continui richiami alla misericordia da
parte di papa Francesco.
A Giulio Bianchi e quelli come lui ricordo l’episodio raccontato
dal vangelo di Giovanni. Di fronte ai giudicatori, con in mano le pietre della
condanna, Gesù richiama tutti alle proprie responsabilità e al rispetto. E alla
donna dice: “ Nessuno ti ha condannata?". Ed essa rispose: "Nessuno, Signore".
E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno”. (Gv. 8, 10-11).
Lucio
Eicher Clere