Lettera aperta al vescovo di Belluno-Feltre, Renato
Marangoni
Nella periferica provincia di Belluno,
dove sono presenti quattro diocesi, la chiusura del Giubileo straordinario
della misericordia, voluto da Papa Francesco è passata in silenzio, come in
silenzio s’era aperto questo evento e nell’indifferenza dei più s’è svolto,
soddisfacendo le apparenze, come l’attraversamento delle cosiddette “porte
sante”, o con un pellegrinaggio a Roma, o con suffragi per ottenere l’indulgenza
plenaria. Le dirigenze ecclesiastiche,
vescovi e preti di questo territorio, hanno dato l’impressione di accogliere
l’invito di papa Francesco come una incombenza da assolvere, in mezzo alle
tante che assillano la vita pastorale: amministrare sacramenti, fare
catechismo, celebrare messe e funzioni, incentivare devozione a madonne e santi
patroni. Ma lo spirito che animava l’idea giubilare di papa Bergoglio non è
stata fatta propria dalla Chiesa locale e tradotta in prassi organizzativa ed
operativa.
Non si poteva certo pretendere che il
vescovo Giuseppe Andrich, burocrate prossimo alla pensione, stimolasse il suo
clero a prendere sul serio gli inviti del papa a praticare la misericordia e
l’accoglienza in ogni parrocchia. Ma con l’arrivo del nuovo vescovo, Renato
Marangoni, sarebbe stata auspicabile una svolta nella “morta gora” in cui giace
da anni la Chiesa locale, un impulso a mettersi nella sequela del vangelo e
degli indirizzi che questo papa argentino sta dando dal giorno in cui è stato
eletto come vescovo di Roma. Se lo stile andrichiano, il cui decennio di
vescovado è passato “sanza infamia e sanza lodo”, era quello di lasciare le
cose come stanno, presenziare alle feste religiose e civili, andare d’accordo
con le autorità locali, non c’è da stupirsi che la vitalità e la qualità
dell’azione pastorale dei sacerdoti e dei loro accoliti sia scesa a livelli
penosi per quanto riguarda la partecipazione all’attività religiosa ed alla
prassi evangelica che dovrebbe in-formare la vita dei cristiani.
Proprio per questa situazione ecclesiale
deprimente, ad un nuovo vescovo spetterebbe il compito di dare segnali e fare
gesti che siano segno di risveglio e di allineamento sugli indirizzi di papa
Francesco. Mi riferisco in particolare al problema dell’accoglienza dei
rifugiati, dei profughi che scappano da paesi in guerra o in situazioni di
scarsità di cibo e di insostenibili condizioni di vita. Più volte papa
Francesco ha invitato ogni parrocchia a rendersi disponibile per ospitare dei
profughi. Ma in tutto il Giubileo della misericordia in diocesi di Belluno, e
nelle altre 3 che hanno la giurisdizione in alcuni paesi della provincia, non
s’è mai alzata una voce, né si è mai vista un’attività organizzativa che
coinvolgesse tutte le parrocchie nell’offrire ospitalità a chi richieda aiuto e
assistenza. Eppure sono decine le canoniche, le case della dottrina, gli
edifici di proprietà dell’istituto per il sostentamento del clero, che
potrebbero essere aperte per ospitare questi uomini, donne e bambini in fuga e
disperati. Ma in diocesi di Belluno-Feltre in tutto l’anno della misericordia
si è dimenticata la “charitas”, quell’amore di cui parla Paolo nella prima
lettera ai Corinzi, capitolo 13, preferendo delegare alla Caritas, cioè
l’organismo specializzato in aiuti ai bisognosi, le risposte alle emergenze.
I preti di periferia hanno le loro
incombenze, e poi sono vecchi e stanchi, non si può mica pretendere che si
occupino di siriani, afgani, africani, magari nelle loro canoniche, palazzine
del quieto vivere? E i loro fedeli si servizio hanno tante cose da fare: pulire
la chiesa, mettere fiori e candele sugli altari, organizzare le cerimonie dei
sacramenti e delle sagre. E i cosiddetti “diaconi”? Anche per loro ci sono
incarichi più importanti dell’assistenza ai negri: distribuire la comunione,
servire messa e leggere il vangelo nelle celebrazioni solenni, custodire i santuari e altre diaconie da
maggiordomi ecclesiastici.
Un vescovo che si ispiri al vangelo ed
alla predicazione di papa Francesco dovrebbe essere segno di contraddizione in
questa diocesi di egoismi e diffidenza avvallata anche dalla religione
tradizionalista. Un vescovo che abbia letto gli appelli del papa, anche nella
lettera “Misericordia et misera”, dovrebbe mettere al primo posto della sua
azione pastorale l’organizzazione dell’accoglienza nelle parrocchie di tutto il
territorio. “Il carattere sociale della misericordia esige di non
rimanere inerti e di scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia, perché i piani e i
progetti non rimangano lettera morta. Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere
sempre pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto,
perché la giustizia e una vita dignitosa non rimangano parole di circostanza,
ma siano l’impegno concreto di chi intende testimoniare la presenza del Regno
di Dio”. Riempire le canoniche vuote, coinvolgere i cristiani attivi
nell’impegno di solidarietà. Trasformare la Caritas in struttura diffusa in
ogni parrocchia, commissariando, ove necessario, i preti ostili od inerti.
Sconfessare le prese di posizione anticristiane di certe istituzioni pubbliche.
Come, ad esempio, il consiglio comunale di Canale d’Agordo, che ha deliberato
all’unanimità di non volere profughi nel proprio territorio. In questo caso, se
Renato Marangoni volesse imitare Albino Luciani, che sanzionò le parrocchie di
Dogna e Provagna con l’interdetto, cioè la chiusura della chiesa alle attività
liturgiche, dovrebbe richiamare quei battezzati al loro dovere di cristiani.
Quel sindaco e quei consiglieri comunali, che si prostrano davanti a cardinali
e vescovi, quando salgono a Canale per onorare la memoria di
Papa Luciani, e che non vedono l’ora che la causa di beatificazione porti
sempre più pellegrini-turisti nel loro paese, sono l’esempio clamoroso
dell’ipocrisia cattolica di questi paesi senza più anima cristiana.
La condanna di Canale d’Agordo da parte
del vescovo potrebbe essere un primo segnale di una nuova tendenza ecclesiale
nello spirito del vangelo e di papa Francesco. La Chiesa come segno di
contraddizione e madre che accoglie chi è nel bisogno e nella sofferenza.
Lucio Eicher Clere