Caro papa Francesco,
non ho mai capito quali siano i criteri che regolano le scelte degli
organismi curiali vaticani, incaricati per le nomine dei vescovi, nel
promuovere a questo servizio ministeriale un sacerdote. Avendo conosciuto
diverse figure di vescovi in Veneto e Friuli, mi sono fatto l’idea che l’ascesa
gerarchica, più che per riconosciuta qualità della testimonianza pastorale e
per stile di vita coerente con la radicalità evangelica, avvenga per meriti
acquisiti nei confronti dei piccoli poteri diocesani locali, per sicuro conservatorismo
nell’espressione dei principi cattolici, per la capacità di mediare e fare
compromessi al ribasso, forse anche per qualche spinta clientelare.
Recentemente mi è stato detto che uno dei criteri vigenti presso la Congregazione
dei vescovi è quello dell’appartenenza al territorio della diocesi o di una
limitrofa del nominando.
Io sono un cristiano della
diocesi di Belluno, dove il vescovo titolare, Giuseppe Andrich, nei prossimi
mesi compirà 75 anni e dovrà dimettersi dall’incarico. So che nell’ambiente
curiale della mia diocesi c’è fibrillazione in questo periodo, con attese, indicazioni,
e anche qualche ambizione, su quale potrà essere il suo successore. Nella
libertà di pensiero e di parola che da sempre ha contraddistinto la mia
appartenenza alla Chiesa, mi sono permesso di esporre in più occasioni la
delusione mia e di altri credenti per il decennio di ministero episcopale di
Giuseppe Andrich.
Per l’amore che conservo
nei confronti della comunità che mi ha trasmesso la fede, dai miei genitori,
alla piccola parrocchia, alla realtà più grande, cresciuta tra le valli montanare,
dove il messaggio evangelico è giunto dalla chiesa di Aquileia, vorrei poter
esprimere un auspicio, che il prossimo vescovo sia un profondo e radicale
testimone del vangelo, una guida coraggiosa nel cammino fragile e incerto che
la nostra comunità diocesana sta attraversando.
E’ per la novità della sua
prassi, dalla scelta del nome, al definirsi “vescovo di Roma e papa”, ai
tentativi quasi impossibili di cambiare il sistema di potere vaticano, che mi
permetto di avanzare a lei, più che alla Congregazione dei vescovi, la proposta
di un nome, per il servizio episcopale nella diocesi di Belluno-Feltre per i
prossimi anni. Mi attengo al criterio di appartenenza territoriale, o perlomeno
di contiguità.
Le chiedo, papa Francesco, di
nominare vescovo don Pierluigi Di Piazza, un sacerdote della diocesi di Udine.
Don Pierluigi è un parroco
che da decenni svolge il suo servizio ministeriale nella terra friulana. E’
nato nel 1947 in un paesino della montagna carnica, Tualis, dove ha imparato i
valori della povertà e dell’onestà e da lì ha percorso quella strada formativa
che tanti ragazzi del dopoguerra in Italia hanno seguito, cioè il seminario e
la consacrazione sacerdotale. Da una ventina d’anni è parroco in un paese alla
periferia di Udine, Zugliano, dove ha unito l’attività pastorale al servizio di
accoglienza di migranti e persone bisognose di aiuto, facendo diventare il “Centro
Balducci” un punto di riferimento per tutto il Nord-Est sui temi della pace,
della nonviolenza, dell’accoglienza, della fraternità, dell’apertura alle
tematiche dei poveri dei continenti dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia.
Don Pierluigi è un
entusiasta di Gesù e del suo messaggio evangelico, e riesce a comunicare questo
suo amore a chi ha modo di avvicinarlo, sia con i gesti concreti che con le
parole. Conforta vedere come agli incontri con i ragazzi ed i giovani, egli
riesca a comunicare la freschezza e la novità del vivere in coerenza con i
principi del vangelo.
Don Pierluigi ha avuto il
merito di non chiudersi nel piccolo orto della parrocchia e della diocesi di
Udine, ma di saper invece guardare oltre l’orizzonte di un terra diventata
negli anni molto benestante ed egoista, per indicare nuove mete e più ampi
riferimenti. Suo punto di riferimento come vescovo è don Oscar Romero, il vescovo
santo del Salvador. Con le Chiese sudamericane ha stretto legami profondi,
ospitando al Centro Balducci i famigliari dei sei gesuiti assassinati nell’università
del Salvador, sacerdoti perseguitati della Columbia, teologi di grande prestigio,
come il brasiliano, di origine bellunese, Leonard Bof.
Don Pierluigi è in dialogo
e confronto con i non credenti e ne dà esempio il libro scritto a due voci con
la scienziata atea Margherita Hack.
La diocesi di Belluno-Feltre,
papa Francesco, è piccola e marginale, e in questi anni ha dimostrato di
avviarsi ad un inevitabile declino umano e pastorale. Chiederle di nominare
vescovo don Pierluigi Di Piazza e affidargli questo lembo di terra dolomitica
vorrebbe dire accendere una luce di speranza in un tramonto avviato alla notte.
Ben sapendo che le sue qualità umane e pastorali meriterebbero spazi ecclesiali
più ampi e importanti, sono tuttavia convinto che la profezia si esprime e
produce frutti dove lo Spirito soffia.
E per un credente povero e
peccatore, sognare che anche il suo sperduto angolo di chiesa possa essere
visitato dallo forza rigenerante del Consolatore, è speranza che vorrei
affidare a un uomo venuto dalla fine del mondo, a lei papa Francesco.
Lucio Eicher Clere