E’
piaciuta a tutti la scelta di Jorge Mario Bergoglio, il nuovo papa, di
chiamarsi Francesco, con esplicito riferimento al radicale testimone della fede
in Gesù, vissuto ad Assisi per 45 anni tra il dodicesimo e il
tredicesimo secolo. Che per otto secoli, pur essendo stato Francesco uno dei
santi più considerati e amati non solo dai cattolici, nessuno ai vertici della
Chiesa avesse mai pensato di prenderlo a modello di vita assumendone il nome, è
indicativo di quanto contradditorio sia stato l’apprezzamento per il “poverello
d’Assisi” da parte di quella gerarchia che non l’aveva tollerato da vivo per la
sua intransigenza nell’applicare il vangelo alla lettera e nello snaturarne il
messaggio dopo morto, tanto che si può dire che il francescanesimo sta a
Francesco come il cristianesimo sta a Gesù.
Se
questo pastore che viene dal continente latino americano, dove la realtà
sociale fa ancora corrispondere il termine “povertà” al suo vero significato di
mancanza di beni e di certezze, si è prefisso di riportare la Chiesa cattolica
al messaggio francescano di fedeltà a “madonna povertà”, è possibile dargli
credito, anche per i gesti che ha compiuto da vescovo di Buenos Aires.
La
votazione di Bergoglio come vescovo di Roma è avvenuta nel periodo quaresimale,
in quel tempo in cui si ricorda il simbolico ritiro di Gesù nel deserto. La
narrazione evangelica presenta, alla fine della quarantena di digiuno, le
tentazioni del diavolo a Gesù. Secondo Matteo, Satana lo sfida con la proposta
del cibo facile sia per il corpo che per lo spirito, con il miracolismo, con la
ricchezza e il potere. Da Costantino in poi la Chiesa nata dalla fede nel
Risorto si è trasformata in una struttura di potere e di ricchezza, di cui il
Vaticano e lo Ior sono la dimostrazione più inaccettabile, che nessun
riformatore è mai riuscito a modificare e cancellare.
Se
un papa eletto durante la quaresima avesse il coraggio di affrontare questa
sfida alla tentazione del potere e della ricchezza, ripetendo a se stesso e
alla struttura ecclesiastica le parole di Gesù al Tentatore: “Vattene, Satana!
Sta scritto “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”, sicuramente il
cammino della Chiesa cattolica prenderebbe un’altra direzione rispetto a quella
percorsa per diciassette secoli.
Se
un papa Francesco avesse la coerenza di ritornare al messaggio del santo di
Assisi e di confrontarlo con tutta la grande richiesta di distacco dalla
ricchezza e dal potere che ha contraddistinto il periodo storico in cui è
vissuto San Francesco, concretizzatosi nel grande movimento pauperistico in
Italia e in Europa, potrebbe recuperare il confronto con l’altra parte
dell’esperienza cristiana in Europa, che è stato il Protestantesimo. Come non
ricordare infatti che, prima di Francesco, un altro ricco mercante, Pietro
Valdo di Lione, compì una scelta analoga, spogliandosi delle sue ricchezze e
fondando quel movimento, il Valdismo, che ha testimoniato la fedeltà al Vangelo
attraverso i secoli e le persecuzioni e ancora oggi in Italia e nel mondo dà
esempio di coerenza e fedeltà ai principi evangelici. Nella professione di fede
del 1180, un anno prima della nascita di Francesco d’Assisi, Valdesio diceva:
“Abbiamo deciso di essere noi stessi poveri in modo tale da non essere
solleciti al domani e non accettare da nessuno né oro, né argento, né altro
all’infuori del vestito e del vitto quotidiano. Ci siamo posti come obiettivo
di adempiere i consigli evangelici come precetti”.
Se
un papa Francesco rinunciasse al titolo di “capo di stato”, proseguendo con i
fatti le parole della prima sera, dove non ha mai pronunciato i termini “papa o
pontefice”, ma soltanto “vescovo di Roma”, smantellando l’organizzazione
burocratica e diplomatica dello Stato del Vaticano, per dedicarsi totalmente
all’annuncio evangelico dell’amore di Dio, collaborando con le Chiese sorelle
sparse per la Terra e diventando, come vescovo di Roma, soltanto il presidente
della comunione tra tutte le altre, potrebbe aprirsi una nuova stagione per il
cristianesimo stanco e svuotato dai giochi di potere della sua gerarchia senza
fede.
Se
un papa Francesco fosse imitato anche dai vescovi delle diocesi, in particolare
quelle italiane, dove valgono ancora titoli ed onori anacronistici e
antievangelici, in questi tempi di crisi e povertà, la fede cristiana potrebbe
rivitalizzarsi.
Lucio
Eicher Clere