Si è assistito nei mesi scorsi ad un rigurgito di adunate alpine nel Veneto, a Belluno, fin nei piccoli paesi periferici. Quasi un bisogno di affermare che gli alpini ci sono ancora, nonostante la fine della leva obbligatoria ormai da un decennio, che l’alpinità è una categoria incancellabile nella cultura montanara. Che cosa ci sia oltre alla forma di questi raduni, che in verità sono null’altro che una carnevalata, con quei ridicoli cappelli piumati, con improbabili marce di attempati panciuti, è difficile dirlo, perché dentro coesistono, in voluta contraddizione, ideali e disvalori, retorica e buone pratiche, preghiere e bestemmie, esibizione di bandiere tricolori e voti alla secessione leghista. E’ probabile che proprio questa mescolanza di contrasti riesca a mantenere viva una associazione come l’Ana, che riesce a coinvolgere tante persone e dare risposte concrete nelle situazioni di difficoltà. Gli aderenti hanno fatto il servizio militare nel cosiddetto “corpo degli alpini” e ricordano quel periodo della giovinezza con nostalgia, per le amicizie, le stramberie, qualcuno anche per interventi di protezione civile. Nessuno di loro vuole entrare nel merito della professione a cui avrebbero dovuto essere preparati nel periodo della leva militare, cioè quella di soldato, di utilizzatore di armi, di esperto nell’assassinare, all’occorrenza, i nemici, fossero essi soldati degli opposti eserciti, o anche donne e bambini. Quello, cioè, che stanno facendo i soldati professionisti dell’attuale esercito italiano, sparsi in giro per i paesi dove esistono situazioni di guerra, nelle presunte “missioni di pace”. Di questi “fratelli in armi” gli aderenti all’Ana si sentono sodali, li citano nei discorsi di retorica militaresca, piangono le loro morti in conflitto, chiamandoli eroi. In questo sono supportati dalla gerarchia ecclesiastica, che ad ogni “caduto” (li definiscono così, come se dire “ammazzato” o “morto sul lavoro” fosse disonorevole!) organizza messe solenni in basiliche romane, per la sfilata delle vanità militari, politiche e religiose davanti alle telecamere per gli effluvi di commozione del mammismo patriottico italiota. Ma proprio per la “contraddizion che lo consente”, l’Ana si proclama ente di solidarietà e volontariato, di azioni benefiche nelle situazioni di bisogno, che non solo non imbraccerebbe un fucile nemmeno per finta, ma svolge davvero azioni concrete di ammirevole efficacia.
Parlando con un amico, che si è prodigato con il gruppo alpini di cui è capo, per dare assistenza ai profughi africani fuggiti via mare dalla Libia, gli dicevo che l’Ana, associazione nazionale alpini, dovrebbe cambiare nome e chiamarsi Anp, associazione nazionale pacifisti, e così sarebbe in linea coerente con il comportamento che i suoi aderenti hanno in moltissime situazioni. Mi ha guardato con un sorriso, forse di compatimento, ma accogliendo con gratitudine le mie affermazioni di stima per il coraggio di agire in controtendenza rispetto alla vergognosa linea leghista-maroniana e alla maggioranza silenziosa dei compaesani diffidenti verso i neri.
L’ho rivisto qualche tempo dopo ad una cerimonia ufficiale, durante una messa da campo, pateticamente coperto da quel buffo copricapo, e l’ho sentito leggere la “preghiera dell’alpino” pronunciando solenne non solo la bestemmia “madre di dio can-dida come la neve”, ma soprattutto quell’incitazione all’odio contro gli stranieri “proteggi la nostra millenaria civiltà cristiana”. Mi ha preso un senso di tristezza, perché nemmeno lui, persona intelligente, riesce a capire che gli aderenti all’Ana, uomini buoni e volonterosi, sono la foglia di fico che protegge la natura violenta dell’istituzione militare a cui essi fanno riferimento. Se l’Ana, la cui pratica è sicuramente pacifista, avesse il coraggio di prendere le distanze dall’esercito e definirsi anche nel nome “pacifista”, farebbe una scelta molto chiara nel risolvere le contraddizioni che la rendono poco credibile di fronte alla verità e all’ideale di una società dove tutti gli uomini possano vivere fraternamente, senza organizzare strutture di morte e distruzione, come sono gli eserciti e le fabbriche di armi. Se l’Ana cambiasse nome in Anp, giuro che non esiterei a mettermi in testa il cappello piumato e sfilare marciando per la pace.
Lucio Eicher Clere