Sembra incredibile che a settecento anni dalle furbate di Frate Cipolla, raccontate da Boccaccio in una novella del Decameron, che conservava la reliquia di una piuma dell’angelo Gabriele; a ridosso dei 500 anni dalla Riforma di Lutero, vento dello Spirito in Germania per cancellare il mercimonio delle indulgenze, vendute dal Papa e della Curia romana per rimpinguare la casse vuote dello Stato pontificio; a 45 anni dal Concilio Vaticano II, che aveva aperto le porte del dialogo ecumenico e quindi suggerito la rinuncia ai gesti più clamorosamente ostili verso i fratelli evangelici, ci siano ancora diocesi che ripropongono riti medioevali, come la promulgazione di un anno giubilare per ottenere l’indulgenza plenaria andando in visita in un santuario dove verrà esposto il teschio-reliquia del santo patrono.
E invece accadrà che la diocesi di Belluno-Feltre, in crisi di partecipazione di fedeli alle messe e alla pratica religiosa, in continuo arretramento della testimonianza evangelica nella società, in penosa carenza di personale dirigente, affiderà le sorti della sua “ripresa” al teschio di San Vittore, rubato ai tempi del Boccaccio dall’Imperatore Carlo IV di Boemia, e conservato a Praga nella cattedrale, che si è resa disponibile (probabilmente dietro compenso) a prestare il macabro resto per farne oggetto di culto nel santuario sul monte Miesna, dove i feltrini hanno sempre chiesto grazie ai due santi che considerano loro protettori, Vittore e Corona.
Sembra incredibile che in una società materialista e pragmatica, dove per risolvere i problemi di salute si pagano le visite specialistiche e non si pregano più santi e madonne; dove il senso del peccato è completamente scomparso, tanto che ai vertici delle istituzioni pubbliche si prende in giro la religione proclamandosi sostenitori della famiglia tradizionale nei convegni e pagando prostitute minorenni nelle notti di piacere; dove bambini e giovani non hanno alcun rapporto con la ritualità e l’insegnamento catechistico, ci sia ancora la voglia da parte dei vertici gerarchici di pescare nel pozzo profondo della superstizione, per ricavarne qualche vantaggio di presenze nello spazio del sacro e, soprattutto, offerte, che un numero sempre maggiore di cattolici anagrafici non dona più abitualmente, e quindi le occasioni straordinarie come i giubilei possono aumentare. L’abbiamo visto a san Giovanni Rotondo, con il cadavere di san Pio da Petrelcina con la faccia al silicone; lo vedremo con la riesumazione delle spoglie di papa Wojtyla, da beatificare al più presto per risanare i bilanci in rosso del Vaticano; lo vedremo con il teschio di san Vittore esposto in una teca di vetro. Una Chiesa che non sa parlare alla gente con le parole del vangelo e preferisce affidarsi alla creduloneria residuale, non certo illudendosi che questo possa far ravvivare la fiamma della fede morente, ma certa di salvare il proprio prestigio terreno e il potere che perdura su schemi e segni trionfalistici.
Verrebbe da chiedersi a quanti il vescovo Andrich e il rettore del santuario, Dalla Rosa, novelli frati Cipolla, riusciranno a far credere che, con la visita nella chiesa sul Miesna entro l’anno giubilare e con un cospicuo lascito di euro, saranno cancellati tutti i peccati.
Soprattutto sarebbe da chiedere a loro con quale arroganza spirituale e quale eretico possesso della misericordia di Dio, spacciata dai trafficoni del Vaticano attraverso la cosiddetta “indulgenza plenaria”, presumano di perdonare i peccati dei singoli credenti, che solo davanti alla loro coscienza ed alla fede nel Dio-Amore possono ritrovare la pace interiore.
Che il giubileo del teschio di san Vittore sia soltanto una trovata pubblicitaria è evidente anche dal pieno accordo tra Comune di Feltre, associazione commercianti, agenzie turistiche e diocesi nel far fruttare al massimo il turismo religioso verso la basilica sul Miesna. In questo Andrich è un vero discepolo del vescovo Ducoli, che aveva ideato il santuario della Madonna sul Nevegal per rilanciare turisticamente il Colle di Belluno. Quel fittizio luogo di culto non richiamò le folle dalla pianura veneta, e probabilmente neppure il teschio di San Vittore smuoverà masse di fedeli creduloni.
Resta la profonda amarezza di chi vorrebbe sperare in un rinnovamento autentico della comunità dei credenti in Gesù Cristo, con la ripresa della coerenza con il vangelo ed il distacco dal denaro e dal potere.
Amarezza anche per lo sfregio alla memoria di un martire, cioè di un testimone della fede in Gesù come fu Vittore ai tempi della persecuzione da parte del potere imperiale romano, ridotto a macabro oggetto di culto. Per rispetto a lui ed alla fede autentica di generazioni di cristiani delle vallate feltrine, che sul Miesna venivano in cammino a pregare e trovare sollievo dalle fatiche di vite misere, toglierò l’immagine che avevo scelto come simbolo di questo blog, accompagnandola con la scritta del vangelo di Giovanni “è giunto il momento in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre…”. Su questo monte Miesna per un anno si favorirà la superstiziosa adorazione di un teschio.
Lucio Eicher Clere